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martedì 11 ottobre 2022

Meditazione focalizzata teistica (1): Introduzione




Chiedo scusa a tutti se non sono un sacerdote né un monaco, un rabbino o un imam.  Vi prego quindi umilmente di prendere le cose che scrivo con il beneficio del dubbio: non sono dogmi o rivelazioni avute da esseri soprannaturali, ma sole mie opinioni personali e, quindi, assolutamente contestabili.
Sono cristiano, ma riconosco un'ispirazione divina in tutte le religioni, per cui accetto di mettere da parte la mia visione del mondo per rivolgermi ai seguaci di qualunque fede, nonché agli atei e agli agnostici.
Come ho più volte spiegato, non credo sia possibile una sintesi fra tutte le religioni a livello dottrinario. Le visione teologiche e filosofiche troppo diverse: addirittura non in tutte le religioni si parla di "Dio" o di "anima", per lo meno non come li intendiamo noi in Occidente. Tuttavia su due elementi si può trovare delle similitudini, cioè la morale e la spiritualità.
Riguardo alla morale, se anche tra le varie tradizioni spirituali ci sono differenze su argomenti come l'alimentazione e la sessualità, d'altro canto esistono regole fondamentali che tutti accettano. Soprattutto ricorre la cosiddetta "Regola d'Oro": "Non fare agli altri quello che non vorresti gli altri facessero a te". Il primo ad esprimerla sembra sia stato il dotto cinese Confucio, mentre Gesù Cristo sarebbe l'unico a porla in positivo ("fa' agli altri quello che vorresti gli altri facessero a te").
Passando alla spiritualità, voglio prima precisare il significato di questo termine. Io concepisco la spiritualità come un lavorare sul proprio mondo interiore, e proprio per questo mi sembra un qualcosa di strettamente collegato all'etica, che invece regola i nostri rapporti con gli altri ed il mondo circostante. Scavando nel nostro sé possiamo arrivare al Trascendente, quello che comunemente noi occidentali chiamiamo Dio.
Qualcuno obbietterà che Dio è irraggiungibile, quindi è inutile cercare di costruire una relazione con Lui, altri che, in fondo, se il Divino è già dentro di noi, non serve nemmeno cercarLo. Entrambe le affermazioni sono incomplete. l'Assoluto, essendo infinito ed eterno, è impossibile da comprendere dalle menti di noi esseri umani, limitati nello spazio e nel tempo, però può essere, per così dire, "percepito" andando oltre i concetti astratti e i ragionamenti che continuamente facciamo su di Lui. Chi afferma che l'umanità e il Trascendente non si incontrino mai, in genere, è semplicemente qualcuno che non ha mai avuto occasione di fare esperienze della vicinanza di Dio.
Riguardo alla presenza del Divino in noi, io ne sono convintissimo, ma temo che non sia così facile entrare in contatto con Lui: siamo troppo distratti dalle mille impellenze della vita quotidiana, come pure dai nostri desideri, dalle nostre paure e immaginazioni per poter badare a Dio. Per giunta è sempre presente il rischio di fraintendere le vere ispirazioni divine dalle costruzioni del nostro inconscio.







Mi permetto di esporre un percorso spirituale, che io per primo sto cercando tra mille difficoltà di seguire: la meditazione focalizzata teistica, che per comodità abbrevio come MFT. Spieghiamo passa per passo, il significato di queste tre parole.
Il termine "meditazione" è stato usato per tradurre termini sanscriti come Dhyana e Bhavana. In realtà, il senso non è tanto quello di riflettere o ragionare su qualcosa, quanto piuttosto praticare uno o più esercizi psicofisici destinati ad aiutare la crescita spirituale. Fino a tempi recenti nella tradizione cristiana, la parola più usata per questo era "contemplazione".
La meditazione può essere di due tipi:
  • Attenzione focalizzata: ci si concentra un singolo oggetto, che può essere una parola, un'immagina, un testo scritto, una parte del corpo, una persona o altro. il Dhikr musulmano, la preghiera di Gesù e la lectio divina cristiane, la meditazione yogica classica e la Kabbalah meditativa ebraica rientrano tutte in questa categoria.
  • Attenzione aperta: si cerca di osserva tutto ciò che accade in noi e attorno a noi, senza attaccarsi a nulla, ma lasciandolo scorrere. Pratiche di origine buddista, come Vipassana, Mindfulness e meditazione panoramica tibetana, fanno parte di quest'altro raggruppamento.
Un'altra distinzione può essere compiuta sulla base dell'impostazione mentale di colui che medita( il meditante):
  • meditazione teistica: qualora il suo intento è l'incontro/unione con una divinità concepita come una persona.
  • meditazione a-teistica: se il suo scopo è invece raggiungere un Divino impersonale.
Facciamo attenzione che per "a-teistica" non si intende una pratica "atea": semplicemente questo tipo di meditazione proviene da tradizioni spirituali, come buddismo, taoismo e confucianesimo, non considerano indispensabile da venerazione di uno o più dei per la realizzazione spirituale, nonostante alcune frange di queste scuole di pensiero ammetano il culto per i loro fondatori (rispettivamente Buddha, Confucio e Lao-Tse) e per altri personaggi eminenti.
L'idea di un Dio-persona, tuttavia, rimane più tipica delle tre religioni di Abramo (ebraismo, cristianesimo e Islam), del sikhismo (un altro monoteismo ma non derivato da Abramo), dello shintoismo giapponese e di gran parte dell'induismo, come pure degli antichi culti di greci, romani, egizi, eccetera. La maggior parte delle religioni è quindi teista.
In questo saggio esamineremo un tipo di meditazione teistica focalizzata, non perché sia migliore della altre, bensì per il semplice motivo che è quella che io pratico. Non sarei in grado di parlare di Vipassana o di Zazen, visto che non mi ci sono mai accostato. Nei capitoli successivi prenderò in esame alcuni forme di MFT riprese da induismo, ebraismo, cristianesimo e Islam, quindi trarrò alcune conclusioni.

NB quelli che io propongo sono solo alcuni dei tanti metodi di meditazione possibili, quindi potranno non essere adatte a chiunque. In fondo non mangiamo tutti le stesse cose, non svolgiamo tutti lo stesso lavoro e, per fortuna, non ci innamoriamo tutti dello stesso uomo o della stessa donna. Perché non dovrebbero esserci diverse vie per raggiungere l'Assoluto, ciascuna più adatta a determinate persone piuttosto che ad altre?

CONTINUA



sabato 24 settembre 2022

Yoga, sufismo ed esicasmo: simili ma non uguali



In molti hanno provato a fare una sintesi di tutte le religione esistenti, alcuni in maniera quasi cialtronesca, come nel caso dell'occultista anglo-russa Madame Blavatsky, altri più coscienziosamente, come il mistico iraniano Baha'u'llah, fondatore della fede Baha'i. Io personalmente penso che non si possa trovare un accordo tra le diverse religioni e tradizioni spirituali sul piano dell'insegnamento dottrinario, bensì su quello delle pratiche mistiche, oltre che sulla morale. Per spiegare questo consentitemi di confrontare tre grandi scuole di spiritualità, cioè lo yoga, il sufismo e l'esicasmo.

Lo yoga nasce dell'induismo, una religione politeista in cui si venerano migliaia di dei, tuttavia gli indù ritengono che divinità, umani, animali, piante ed ogni altro essere non siano che tante espressioni del Sé universale, il Brahman. Il sufismo proviene dall'Islam, una fede monoteista assoluta con un Dio uno e unico. L'esicasmo dal cristianesimo - soprattutto ortodosso orientale - che è un po' un monoteismo "atipico", nel quale il Dio unico viene visto come la comunione fra tre persone, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Anche quello che si aspettano i seguaci di tali scuole è differente: gli indù cercando di ottenere la fusione del loro sé individuale con il Sé universale, in cui il primo scompare a favore del secondo; i cristiani parlano di Unio Mystica, unione mistica con Dio, o addirittura di Theosis, divinizzazione, intendendo con questo una comunione d'amore tra la creatura umana e il suo Creatore, senza però una vera fusione tra i due esseri; i Sufi hanno elaborato due concetti all'apparenza contraddittori, ossia il Fanah, l'estinzione del credente in Dio (che scompare come nell'induismo), e il Baqah, la sopravvivenza dello stesso in Dio (come nel cristianesimo). Le diverse confraternite Sufi tendono a dare più importanza all'uno o all'altro, oppure ad entrambi.

Nonostante ciò, il percorso mistico di uno yogi, di un sufi o di un esicasta appare simile nelle sue tappe. In primo luogo, tutti devono condurre uno stile di vita sobrio, cercando di controllare il proprio corpo e i propri istinti. Inoltre devono guardarsi bene dall'arrecare danno agli altri. Tutto questo è un cammino di purificazione che anticipa le pratiche mistiche vere e proprie. I maestri delle varie tradizioni sono concordi nell'affermare che, senza queste premesse, il cammino spirituale non porterà a nulla.



Seguono a questo punto degli esercizi psicofisici per unificare corpo, mente e spirito. Per esempio cercare di portare tutta la propria attenzione su una parola o una frase è una pratica comune. Fra gli yogi si chiama Mantra, tra i sufi Dhikr, tra gli esicasti Preghiera del Cuore o Preghiera di Gesù. Soprattutto i musulmani e cristiani ortodossi sembrano identificare in gran parte la loro spiritualità proprio con queste due pratiche, tuttavia la Preghiera di Gesù può venire tradotta in varie lingue o modificata a seconda delle esigenze del fedele, mentre Mantra e Dhikr devono restare sempre invariate, poiché considerate parole sacre in sé stesse. Specie del primo, spesso, si ritiene più importante il suono delle parole rispetto al loro significato.

Tutti conosciamo la sillaba "Om" (a volte scritta Aum), che per l'induismo è il suono primordiale, qualcuno avrà sentito pure il mantra che cita Krishna e Rama, due avatar del dio Vishnu: "Hare Krishna Hare Krishna/ Krishna Krishna Hare Hare/ Hare Rama Hare Rama/ Rama Rama Hare Hare".  Nel Dhikr viene usata la professione di fede islamica, "Là Ilaha Illà Allah" (Non c'è altro dio all'infuori di Dio), oppure versetti del Corano, o ancora semplicemente le parole Allah (Dio) e Hu (Lui). Nell'esicasmo si usa la preghiera apparsa sul Monte Athos durante il Medioevo, "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore", ma esiste anche quella più antica, risalente al primo monachesimo "Vieni, Signore in mio aiuto/Vieni presto in mio aiuto". In Occidente è utilizzata anche la frase in aramaico "Maranathà" (Vieni, Signore), divulgata dal benedettino irlandese, John Main, il quale, tuttavia, non era un esicasta ortodosso.

A questo punto si arriva ad una condizione di pace e silenzio interiore, quello che lo yoga chiama Samadhi, mentre i mistici cristiani e islamici usano tanti termini diversi. Per spiegare questa varietà di linguaggio bisogna tenere presente che, mentre in India si sono adeguati tutti alla terminologia usata nello Yoga Sutra, attribuito al saggio Patanjali e redatto forse tra il II secolo a.C. ed il V d.C., nei paesi cristiani e musulmani ogni mistico aveva un suo proprio vocabolario. 

Tornando al Samadhi, è possibile che in esso avvenga l'incontro con l'Assoluto, indipendentemente da qualunque modo lo si voglia chiamare, ma nessuno può forzare questo evento. Solo Dio può decidere di manifestarsi. Potremmo paragonarlo ad un incontro d'amore: io posso dare appuntamento alla donna o all'uomo che ama, però solo lei/lui può decidere se presentarsi o meno. In ogni caso il percorso spirituale è sempre utile. Parlando per esperienza personale, se anche non ho mai sperimentato una vera Unio Mystica, posso ugualmente dire di aver sviluppato un rapporto quotidiano con il Divino, che mi aiuta anche a migliorare le mie relazioni con me stesso, con gli altri e con la natura. Come insegna San Giovanni Climaco: "Non tutti possono arrivare ai più alti gradi del cammino spirituale, ma tutti possono essere riconciliati con Dio".



martedì 6 settembre 2022

Domande frequenti sulla mistica



Cos'è la mistica?

Difficile rispondere a questa domanda. Sono state formulate mille definizioni della parola "mistica", ma la più convincente, almeno secondo me, è "la disciplina che mira ad un contatto diretto con il Trascendente".

La mistica e la religione sono la stessa cosa?

Se mi permettete la battuta, la mistica è un po' la religione 2.0, deriva dalla religione, ma ne supera i confini. In genere i mistici sono coloro che non si accontentano di una adesione solo formale a concetti, riti e norme di comportamento. Sono coloro che vanno più a fondo, in alcuni casi intraprendendo una vita di tipo ascetico, altri elebarando pratiche di meditazione.

Come è nata la mistica?

Esiste una teoria molto diffusa fra gli studiosi, in cui si ritiene che, in un primo momento, l'umanità ha considerato tutto l'universo come qualcosa di sacro e divino, poi, con la nascita delle religioni organizzate è avvenuta una scissione: il Creatore è divenuto qualcosa di "altro" rispetto alla creazione. La mistica sarebbe un terzo passaggio, in cui si cerca di ricostruire l'unità perduta Creatore-creature. Io, tuttavia, mi permetto di suggerire un'altra interpretazione: le prime divinità venerate dagli esseri umani erano tutt'altro che buone o sagge. Nei più antichi Vedi (i testi sacri indù) si legge che Indra, il dio del tuono, non faceva che combattere ed ubriacarsi  fino a non potersi più reggere in piedi. Nella mitologia greca Zeus tradiva continuamente la moglie Hera, inoltre per diventare signore dell'Olimpo aveva ucciso suo padre Cronos. Anche il Dio ebraico ordinava al suo popolo guerre e stragi con ben poca misericordia per i nemici. Questa è "l'infanzia della religione", poi è arrivata "l'adolescenza", in cui si è cominciato a credere in un Dio che rappresenta la morale, poteva essere un Dio unico, come quello degli ebrei, o semplicemente una divinità più potente di tutte le altre. Solo che tutti ci rendiamo conto che non sempre i casi della vita sono governati dalla morale. Non c'è essere umano che non si sia mai chiesto perché un Dio buono permette tante cose malvage. A questo punto l'umanità è entrata nella sua fase adulta: qualcuna ha rigettato in blocco la religione, divenendo ateo, qualcun altro ha cominciato a cercare il Divino non più nel mondo esterno bensì in quello interiore. Questi ultimi sono i mistici.

I mistici sono sempre anarchici, in contrasti con la religione "ufficiale"?

Non è sempre così. Certo, restando da noi in Occidente, abbiamo avuto i casi di Margherita Poreto e Giordano Bruno che sono finiti vittime dell'Inquisizione. D'altra parte dobbiamo anche notare la stima che, per esempio, i papi cattolici hanno avuto nei confronti di mistici, quali Francesco d'Assisi, Domenico di Guzman e Caterina da Siena, e soprattutto quest'ultima era una donna ribelle che non si faceva problemi ad usare un linguaggio duro con lo stesso pontefice

La mistica è qualcosa di esoterico, riservato a pochi iniziati?

Anche in questo caso non è sempre così, dipende dalle diverse scuole mistiche di cui stiamo parlando. Di sicuro la Qabbalah ebraica è forse la scuola più esoterica. Per secoli è rimasta chiusa in ristretti circoli di rabbini, i quali si impegnavano a non divulgarne i segreti. Solo il movimento chassidico (o hasidico), nato nell'Europa dell'Est nel '700, ha cercato di rendere alcuni aspetti della Qabbalah alla portata della gente comune. L'estremo opposto è forse la contemplazione cristiana: l'unica iniziazione richiesta è il battesimo e, anche se è stata coltivata soprattutto nei monasteri, non si è mai impedito ai laici di praticarla.

Per intraprendere un cammino mistico è necessario credere in una o più divinità?

Se da un lato tutte le tradizioni spirituali credono l'esistenza di qualcosa del Trascendente, di un "altro" rispetto alle nostre percezioni sensoriali, dall'altro lato non tutte lo descrivono nello stesso modo. Diciamo che in Europa e nel Mediterraneo si tende a vedere il Divino come un "qualcuno", nelle culture dell'Estremo Oriente lo si percepisce più come un "qualcosa". L'India è quasi una via di mezzo tra queste due concezioni: all'interno dell'induismo esistono sia scuole di pensiero teiste, che credono in una Divinità personale, come avviene in Occidente, sia altre non teiste che credono in un Divino impersonale.

E' vero che i mistici sviluppano poteri paranormali?

Ci sono testimonianze, non si sa fino a che punto attendibili, su mistici capaci di compiere guarigioni miracolose, di leggere nel pensiero, levitare, predire eventi futuri e molto altro, tuttavia i maestri spirituali cono concordi nell'affermare che questi sono come degli "effetti collaterali". Lo scopo che si prefigge un mistico non è quello di diventare una sorta di supereroe e chi si accosta alla spiritualità in cerca del miracoloso o dell'eccezione rischia facilmente di perdersi.

Qual è allora lo scopo del cammino spirituale?

Ogni essere umano ha quattro dimensioni: il rapporto con sé stesso, con gli altri, con la natura e con il Trascendente. L'intraprendere un percorso mistico, qualunque esso sia, intende creare un giusto equilibrio fra tutti questi rapporti e trasformarli in una comunione universale. Dio, l'umanità e il mondo ci appaiono come compartimenti stagni, ma possiamo scoprire che sono in realtà vasi comunicanti in contatto l'uno con l'altro.

lunedì 10 gennaio 2022

La pratica della meditazione (1)

 Dopo tante discussioni teoriche sulle religioni, volevo passare a parlare di quello che, secondo me, è il fulcro dell'esperienza religiosa, ossia la meditazione. Lo faccio a partire da alcuni video postati su YouTube da Axel Bayer, monaco benedettino della Congregazione Camaldolese, nonché insegnante di yoga.

Nel primo video Bayer prende in esame le due grande metodologie della meditazione: Vipassana, ossia allargare la propria attenzione a tutta la realtà circostante, e Dhyana, concentrarla su un unico oggetto, che sia un'immagine, una parola, un testo scritto, una parte del corpo o altro. In questa seconda categoria il monaco fa rientrare lo yoga, l'esicasmo ortodosso, il dhikr musulmano e persino alcune pratiche del cattolicesimo, quali il rosario e la lectio divina (la lettura meditata delle Sacre Scritture).

Nel secondo Bayer passa a mettere in confronto alcuni testi che trattano della meditazione: il primo è lo Yoga Sutra, uno scritto indiano attribuito al saggio Patanjali, gli altri sono principalmente di mistici cristiani: si va da Evagrio Pontico a Giovanni Climaco, da Giovanni della Croce all'ignoto autore medievale de La Nube della Non-Conoscenza fino a Tommaso d'Aquino che, in genere, non è  classificato come un mistico, ma come un teologo "razionale".  

Innanzitutto, ci si trova davanti ad una differenza di termini: mentre in India tutti i maestri spirituali si sono adattati alla terminologia usata da Patanjali, nel cristianesimo ogni maestro ha adoperato parole diverse per descrivere la sua esperienze. Per esempio, se il traguardo dello yoga è lo stato di vicinanza al Divino, chiamato Samadi, nella tradizioni cristiana alcuni parlano di preghiera pura, altri di contemplazione, altri ancora di Hesychia (in greco silenzio, quiete) o addirittura di Theosis (deificazione, divinizzazione).

 Se passassimo ad esaminare anche la mistica islamica, ebraica, buddista, shintoista o taoista troveremmo tantissimi altri termini diversi, ma tutto questo non deve spaventare: come ripeto sempre, se ci fermiamo all'aspetto concettuale delle religioni, le troveremo sempre inconciliabili, invece se passiamo a quello pratico e, per così dire, apofatico (ossia che trascende i concetti), troveremo comunanze sorprendenti. Seppure scaliamo montagne diverse, il cielo sopra noi tutti resta lo stesso.





martedì 16 novembre 2021

Swami Vivekananda sul rapporto tra devozione e fondamentalismo

 

Il grande vantaggio del Bhakti (la devozione alla Divinità) è che il modo più semplice e naturale per raggiungere il grande scopo divino a cui siamo destinati. Lo svantaggio maggiore è che, nelle sue forme minori, spesso e volentieri degenera in un esecrabile fanatismo. I fanatici dell'induismo, dell'Islam e del cristianesimo sono stati sempre e quasi esclusivamente reclutati fra questi devoti appartenenti alla classi più basse del Bhakti. L'attaccamento assoluto (Nishtha) ad un oggetto amato, senza il quale non può nascere alcun amore sincero, molto spesso è anche la causa della condanna di ogni altra cosa. Le menti deboli e poche evolute di ogni religione e paese hanno un unico modo di amare il proprio ideale, cioè odiare ogni altro ideale. Questo spiega perché lo stesso uomo amorevolmente legato al proprio ideale di Dio e devoto al proprio ideale di religione, non appena vede o sente qualcosa che riguarda un altro ideale, può diventare un fanatico rabbioso e urlante.

Questo tipo di amore è simile, per certi versi, all'istinto di un cane che protegge dagli intrusi la proprietà del padrone; soltanto che l'istinto del cane è superiore alla ragione dell'uomo, poiché il cane non confonde mai il suo padrone con un nemico, in qualunque veste questi gli si presenti davanti. Di nuovo, il fanatico perde ogni capacità di giudizio. Nel suo caso reputa le sue considerazioni personali talmente interessanti che non gli importa di cosa l'uomo dice, se sia giusto o sbagliato: solo ad una cosa è particolarmente interessato: chi dice cosa. Lo stesso uomo è onesto, buono e amorevole con chi è della sua stessa opinione, non esiterà compiere le azioni più spregevoli delle persone al di fuori della sua comunità religiosa.

Tuttavia questo pericolo si manifesta solo in quello stadio del Bhakti detto preparatorio (Gauni). Quando il Bhakti è maturato e si è trasformato nella forma suprema (Para), non c'è più bisogno di temere quelle spregevoli manifestazioni di fantatismo; l'anima che è sopraffatta da questa forma elevata di Bhakti è troppo vicina al Dio dell'Amore per diventare uno strumento della diffusione dell'odio.

( Tratto da Swami Vivekananda, Le Cinque Strade dello Yoga)

Co

giovedì 16 settembre 2021

Vale ancora la pena convertirsi ad una religione?

Olivier Clément


Come avevo detto tempo fa, un autore che mi ha profondamente influenzato è stato Olivier Clément, un francese, figlio di genitori atei e non battezzato, il quale, all'età di trent'anni, si convertì alla Chiesa Cristiana Ortodossa. Dopo aver letto i suoi libri, ho frequentato per un certo periodo le comunità ortodosse, ma vi ho trovavo gli stessi difetti della Chiesa Cattolica Romana: il tramutare la morale in moralismo e la propria visione teologica in una ideologia incontestabile. Inoltre, molti ortodossi, a differenza di Clément che ha sempre sostenuto il dialogo tra le diverse Chiese e religioni, ritengono l'ecumenismo una forma di relativismo da combattere. Anche se quest'ultimo, ho notato, è un difetto più degli ortodossi europei che di quelli mediorientali. Per tutti questi motivi, io non sono diventato ortodosso.

Forse ad impedirmi una vera conversione è stato anche il fatto che io tendo a guardare all'ortodossia più con lo sguardo di uno studioso che con quello di un fedele. Sono un po' come Henry Corbin che studiò per anni l'Islam sciita, ma non abbracciò mai personalmente lo sciismo.

A questo punto, sorgono alcune domande: esiste forse una religione che non abbia commesso atrocità? Oppure che non si sia mai corrotta con il denaro e il potere temporale? La risposta è no. Certo, noi conosciamo bene gli errori delle religioni abramitiche (cristianesimo, Islam ed ebraismo), ma ignoriamo quelli della altre. Per esempio non sappiamo che  il confucianesimo "imperiale" in Cina o allo shintoismo "di Stato" in Giappone (quello che ha creato i kamikaze), oggi, sono considerati aberrazioni dagli stessi confuciani e shintoisti. Ancora si potrebbe parlare del movimento detto Hindutva (indianità), che associa così strettamente l'appartenenza nazionale con la fede religiosa tradizionale da considerare i non induisti dei veri e propri corpi estranei nella società indiana da eliminare. Forse, persino il Tibet, se fosse ancora governato dal Dalai Lama, sarebbe criticato come un regime fondamentalista, dove la legge religiosa buddista controlla ogni aspetto della vita pubblica e privata.

D'altro canto, se ci sono motivi validi per guardarsi della religioni "organizzate", ne esistono due altri per cui può essere ancora utile aderire ad una religione o ad una Chiesa: 

  1. Se è vero che ognuno deve col tempo diventare il maestro di sé stesso, però ha bisogno prima di avere un insegnante che lo formi. Per questo tutti abbiamo la necessità di trovare un padre spirituale (o eventualmente una madre) che ci aiuti a formare la nostra interiorità. 
  2. In una società malata di individualismo, come quella occidentale contemporanea, può essere formativo fare parte di una comunità. Aiuterebbe a trovare un equilibrio tra noi stessi e gli altri, oltre che a non assolutizzare così tanto la libertà personale da tramutarla in egoismo.
  3. Per arrivare all'apofatismo, ossia ad un rapporto diretto con Dio, al di là di tutti le definizioni e i nomi che possiamo darGli, prima dobbiamo però passare per il catafatismo, cioè per una conoscenza concettuale. A questo servono materie come la teologia e la filosofia. 
Quindi, non si può rigettare del tutto i dogmi, i testi sacri, i riti, le immagini sacre e tutto quello che la cultura religiosa produce. Semplicemente, bisogna considerarli non il fine ultimo delle fede, bensì una specie di trampolino di lancio verso la trascendenza.

Inoltre, ognuno deve capire quale religione può andare bene per lui. Avevo già citato in passato un racconto cinese in cui Confucio, Buddha e Lao-Tse, i fondatori delle tre fedi tradizionali della Cina (confucianesimo, buddismo e taoismo), immergono tutti e tre un dito nell'aceto e lo assaggiano. Confucio lo trova aspro, Buddha amaro e Lao-Tse dolce. Se per noi la vita è aspra, dovremmo seguire il confucianesimo, se è amara il buddismo, e se è dolce il taoismo. Ma potremmo anche necessitare dell'Islam, del cristianesimo, del sikhismo, dell'animismo e di tante altre scuole di pensiero. Dobbiamo solo essere disposti a cercare.

venerdì 3 settembre 2021

Meditazione e mistica. Come orientarsi?

Avevo già scritto un post tempo fa su quanto sia difficile definire cosa sia una religione, visto che persino la credenza in una o più divinità ed in una vita oltre la morte non sono elementi presenti in tutte quelle che noi oggi definiamo come religioni. Inoltre ognuna di esse tende a dividersi al suo interno in più confessioni, le quali, a volte ma non sempre, si combattono tra loro.

Un mandala tibetano

Calligrafia araba con il Nome di Allah


Tralasciando tutte questi dilemmi, nonché le polemiche da essi suscitati, possiamo ugualmente affermare che in tutte le Chiese cristiane ed in tutte le grandi religioni è presente una mistica, intesa come una ricerca dell'Assoluto. Certo, l'immagine che si dà a questo Assoluto cambia: per cristianesimo, Islam ed ebraismo si tratta della Comunione con un Dio personale. Per induismo e sikhismo (nonostante il primo sia politeistico ed il secondo monoteistico) l'unità ricercata è quella con una Divinità impersonale, quindi più che di Comunione, in cui ognuno rimane sé stesso, si deve parlare di Fusione, nella quale si perde la propria identità . I buddisti, invece, cercano l'Illuminazione, gli shintoisti giapponesi la Purificazione, ecc. Nonostante ciò, i mezzi, che i mistici di tutte le religioni usano nel loro cammino, appaiono incredibilmente simili.

Il Nome di Dio in ebraico (si legge alla rovescia)



Chiarisco subito che la via mistica non è un sistema per ottenere poteri magici o paranormali. Sebbene ammetto che eventi inspiegabili possano anche accadere, ma non sono essi il fine. Non è nemmeno così strettamente necessario separarsi dagli altri esseri umani, per condurre un'esistenza da asceti in mezzo al deserto o sul cucuzzolo di una montagna, anche se per alcuni individui possa essere questa la strada migliore da percorrere nella propria vita. Non serve nemmeno un rito di iniziazione, come credeva René Guénon, un pensatore per altri versi interessante, ma che aveva una sorta di ossessione per tutto ciò che era esoterico, ossia riservato a pochi. Caso mai può essere utile per un serio cannino spirituale trovarsi un maestre e/o fare parte di una comunità. In tal caso esistono comunità che hanno un'impostazione iniziatica ed accettano solo pochi membri selezionati (es. i cabalisti ebrei o i Sufi musulmani). In genere, però, la mistica è un cammino aperto a tutti, uomini e donne di qualunque ceto sociale, lingua, cultura, nazionalità ed orientamento sessuale, poiché non è nient'altro che la spiritualità già dimorante in ciascuno di noi. Il nostro compito è solo quello di coltivarla e farla crescere. 

A questo punto sorge spontanea una domanda: come coltivare la propria spiritualità? Uno dei testi più importanti dell'induismo, la Bhavagad-Gita, raccoglie un dialogo tra Krishna, un avatar del dio Vishnu, e il principe Arjuna. Il dio insegna a questi quattro percorsi che un uomo può seguire per raggiungere l'elevazione spirituale, pur precisando che ne esistono anche altri. Essi sono:

  • Karma Yoga: la via dell'azione sacralizzata, l'agire disinteressato, compiendo il proprio dovere senza pensare alle conseguenze positive o negative che ciò possa avere. Penso che la Chiesa cattolica, pur avendo molto colpe, abbia sfornato molti "mistici d'azione" che hanno seguito questa strada, per esempio Caterina da Siena, Brigida di Svezia, don Milani e Oscar Romero.
  • Jnana Yoga: la via della conoscenza spirituale, il cercare la verità metafisica dell'esistenza dietro le apparenze. Si tratta del percorso seguito da tutti i filosofi e i teologi: da Socrate a Tommaso d'Aquino, dal rabbino ebreo Maimonide agli islamici Ibn-Arabi e Sohravardi.
  • Bhakti Yoga: la via della devozione e dell'amore verso una divinità o anche solo verso un maestro spirituale. È forse la strada più percorsa dai fedeli di un po' tutte le religioni. 
  • Dhyana Yoga: generalmente viene intesa come via della "meditazione". In realtà il termine Dhyana in sanscrito si può tradurre anche come "contemplazione". Nella tradizione cristiana il termine "contemplazione" è molto più usato per intendere il calarsi nel proprio intimo, andando oltre tutti i concetti (apofatismo), mentre con "meditazione" si intende una riflessione ancora legata alla ragione e ai concetti (catafatismo).
San Mosé l'Etiope medita davanti un'icona


In questo post voglio concentrarmi soprattutto sul Dhyana Yoga o, come lo chiamo io, la via apofatica. Ci sono differenti metodi per raggiungere lo stato di contemplazione/meditazione. Ne elenco i principali:

  • concentrarsi su una parola o una frase. È la pratica del mantra, presente nelle religioni del Subcontinente indiano (induismo, buddismo, jainismo, sikhismo), ma ha un parallelo nella Preghiera di Gesù o esicasmo cristiano e nel Dhikr musulmano.
  • concentrarsi su un'immagine. L'esempio tipico sono i mandala buddisti, ma anche il culto dell'icona presente nelle Chiese ortodosse è molto simile. Tra gli ebrei e i musulmani c'è chi si concentra su una parola della Scrittura, sulla sua grafia in ebraico o in arabo (considerate lingue sacre di per sé stesse). In particolare molti rabbini cabalisti meditano sul Nome di Dio, il tetragramma JHWH.
  • concentrarsi su un'idea, non più quindi su un'immagine fisica ma su un'immagine mentale.
  • preghiera spontanea. Molto più difficile di quanto non si creda. Bisognerebbe riuscire a mantenersi sempre sullo stesso argomento o, per meglio dire su un solo gruppo di idee collegate fra loro. Io per primo ho difficoltà a praticare questo metodo.
  • immobilità mentale. È una tecnica molto elevata e difficile da raggiungere. L'esempio più significativo è lo Zen, una pratica buddista predicata in Cina dal monaco indiano Bodidharma, ma oggi diffusa soprattutto in Giappone, che prevede l'immobilità totale sia del corpo che del pensiero, sino ad arrivare ad uno stato chiamato Zazen.

sabato 24 luglio 2021

L'esicasmo è lo yoga cristiano?

L'esicasta Isacco di Ninive



Ultimamente capita spesso di leggere articoli in rete che parlano dell'esicasmo come di una forma di yoga o di meditazione trascendentale. Il primo a scrivere un saggio dal titolo Esicasmo: Yoga Cristiano fu Anthony Bloom, un vescovo ortodosso russo espatriato in Occidente (il suo nome di battesimo era Andrej Borisovic Blum) e potete leggerlo a questo link

La preghiera esicasta, infatti, è parte della spiritualità delle Chiese cristiane ortodosse, ed è presente sia tra quelle di tradizione duofisita (i greci e gli slavi), che riconoscono l'umanità e la divinità di Cristo come due nature distinte, sia tra quelle miafisite (i copti, i siriaci e gli armeni) che le considerano un'unica natura. Persino la Chiesa assira d'Oriente, che è separata da entrambi i rami dell'ortodossia, ha una sua tradizione di esicasmo, incarnata dal mistico medievale Isacco di Ninive, venerato da tutti gli ortodossi col nome di Sant'Isacco il Siro.

 In Occidente, l'esicasmo ha cominciato ad essere conosciuto solo nel secondo Dopoguerra, in parte tramite quei religiosi ortodossi che fuggivano dal comunismo, come il sopracitato Bloom, in parte grazie a occidentali convertiti, per esempio Olivier Clément in Francia e Kallistos Ware in Inghilterra. In questo modo, la preghiera esicasta è divenuta trasversale a tutte le Chiese cristiane, tanto che  anche l'anglicano Rowan Williams, arcivescovo emerito di Canterbury, la pratica, così pure il cattolico Enzo Bianchi, fondatore del Monastero di Bose.

Cos'è l'esicasmo?

San Gregorio Palamas


Il termine "esicasmo" viene dal greco Esichia, che significa silenzio o quiete. Molti esicasti ritengono che la loro pratica, legata alla ripetizione di una breve invocazione contenente il nome di Gesù, sia stata insegnata da Cristo stesso ai suoi Apostoli. Nei Vangeli, però, non c'è traccia di questo evento. L'unica preghiera insegnata da Gesù sarebbe il Padre Nostro, tuttavia Cristo dice ugualmente cose importanti su come si prega. In primis che non bisogna "sprecare parole come i pagani" (Matteo 6,7) e subito dopo: "Tu, invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà" (Matteo 6,6). Da notare che, a quei tempi, ben pochi potevano avere una stanza tutta per loro. La stanza in cui chiudersi per adorare Dio sarebbe dunque quella interiore, il proprio cuore, nel quale gli antichi vedevano non tanto la sede dei sentimenti, quanto il centro di tutta la persona. Se a ciò aggiungiamo la frase di San Paolo "Occorre pregare sempre", si capisce la necessità per i cristiani di elaborare un metodo per mantenersi sempre in uno stato di preghiera interiore.

L'esicasmo nasce così attorno al IV secolo d.C. tra i Padri e le Madri del Deserto, ossia i primi monaci e monache cristiani, presenti tra Egitto, Siria e Palestina. In particolare, il metodo va definendosi nel Sinai, dove vengono redatti alcuni grandi testi spirituali, quale La Scala del Paradiso (o Scala delle Virtù) di San Giovanni Climaco, molto conosciuta e stimata pure dai cattolici romani. In seguito, l'esicasmo raggiunge il Monte Athos, in Grecia, forse anche grazie all'arrivo lì di San Gregorio il Sinaita dall'Egitto. Qui viene elaborata la cosiddetta Preghiera di Gesù, "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore" che va a sostituire l'invocazione usata dai Padri del Deserto, "Vieni, Signore, in mio aiuto. Vieni presto in mio aiuto".  

Nel XIV secolo scoppia una controversia contro gli esicasti a causa di un filosofo, Barlaam il Calabro (che oggi sarebbe considerato un italiano). Non sono giunti a noi scritti di questo autore, ma sembra accusasse i monaci del Monte Athos di non venerare veramente Dio ma solo il loro ombelico! Per Barlaam, a quanto sembra, era impossibile entrare in contatto diretto con Dio, tutt'al più si poteva discutere di lui in ambito filosofico-dottrinale. A difesa degli esicasti scrisse invece San Gregorio Palamas, che dette un'inquadramento teologico all'esicasmo: Palamas distinse tra l'essenza di Dio, che resta inconoscibile alle sue creature, e le energie divine, che, invece, compenetrano la natura creata, umanità compresa. Proprio le energie di Dio possono essere percepite dagli esseri umani mediante l'ascesi e la preghiera. La Chiesa ortodossa fece propria la dottrina di Palamas e l'esicasmo si diffuse nei paesi slavi, in cui l'ortodossia si era diffusa. 

Un altro passaggio importante fu la pubblicazione a Venezia nel 1782 della Filocalia (in greco "amore per la bellezza"), una raccolta di testi di tutti i grandi esicasti, redatta dal monaco Nicodemo dell'Athos e dal vescovo Macario di Corinto. Questa antologia conobbe poi altre edizioni in slavone, russo e rumeno, dove spesso si toglievano alcuni scritti o se ne aggiungevano di nuovi. In ogni caso gli esicasti potevano contare su un'esaustiva guida per il loro percorso spirituale, il quale si articolava in tre tappe:

  1. Praxis (la pratica): con l'aiuto della Preghiera di Gesù il mistico cerca di spegnere quelle passioni negative come l'avidità, la superbia, la lussuria, l'ira, ma anche la paura, la tristezza, l'ossessione per la morte, la quale in parte spaventa ed in parte attrae.
  2. Theoria Physiche (la contemplazione della natura): l'esicasta comincia a riconoscere le energie divine nel mondo circostante, umano e naturale. Si potrebbe paragonare tale tappa allo stato in cui San Francesco, in Occidente, componeva il Cantico delle Creature, oppure alla leggenda dal sapore Zen in cui un monaco, osservando la neve che cadeva, "comprese la neve".
  3. Theoria vera e propria (contemplazione di Dio), : non è chiaro se l'esicasta raggiunga questo stato durante la vita terrena o dopo la morte. L'asceta è completamente travolto dalla visione beatifica di Dio. Da alcuni la Theoria è detta anche Theosis (divinizzazione), ma non tutti concordano se il termine vada preso alla lettera, con l'uomo che diventa Dio, o in senso metaforico, ossia l'uomo è semplicemente reso simile a Dio, poiché partecipe della Sua grazia.

L'esicasmo non è una conoscenza esoterica da tenere nascosta alla masse, ma è ugualmente un percorso ascetico che, forse non tutti sono in grado di seguire. Gli esicasti affiancano la Preghiera di Gesù con l'osservanza dei comandamenti, la partecipazione all'Eucarestia e agli altri sacramenti, la lettura delle Scritture, la penitenza, i digiuni, le vegli notturne e le opere di carità. Ad ogni modo, chiunque può provare a recitare la Preghiera di Gesù, cercando di regolarla sul proprio respiro e concentrando la mente solo su di essa, lasciando defluire tutti gli altri pensieri. Ciò conduce col tempo ad un senso di pace interiore e, magari, fare quell'esperienza di meditazione profonda, chiamata "preghiera del cuore".


Cos'è lo yoga?

Nella Bahagvad-Ghita, il divino Krishna dà alcune spiegazioni sullo yoga


Diciamo subito che lo yoga è qualcosa di molto più complesso di una semplice ginnastica. Non è nemmeno unicamente un metodo per rilassarsi. Queste sono banalizzazioni che ne abbiamo fatto noi occidentali, al punto che, in alcune multinazionali, si consiglia ai manager di praticare yoga (oppure Zen o Tai Chi) per essere più produttivi! Lo yoga, invece, è un insieme di pratiche fisiche e mentali derivato dall'induismo e poi ereditato da altre fedi nate nel Subcontinente indiano, tipo jainismo, sikhismo e buddismo. Il buddismo, che dà grande importanza alla meditazione, lo ha diffuso anche fuori dall'India, verso la Cina, la Corea, il Sud-Est asiatico e il Giappone

 La parola yoga viene dal sanscrito e in origine voleva dire "giogo" o "aggiogare". Per esempio, c'è un brano nei Rig-Veda, i più antichi testi indù, datati tra XX secolo e il XV secolo a.C., in cui si dice: "aggiogare sé stesso come un cavallo disposto ad obbedire". In testi successivi, le Upanishad, la parola assunse il significato di "unione". Per gli indù, lo scopo dello yoga e, più in generale, di tutta la vita è prendere il controllo del proprio corpo e della propria mente per raggiungere l'unione con il Divino, concepito come il Brahaman, il Sé universale, contrapposto all'Atman, l'io individuale. Tutte i moltissimi dei venerati dagli indù non sono che diverse manifestazioni del Brahaman. Pure il sikhismo, che a differenza dell'induismo è monoteista, considera Dio un'entità impersonale con il quale i singoli esseri vanno a fondersi. I Jaina credono invece che gli umani stessi divengano divini con l'ascesi e l'abnegazione, mentre i buddisti non danno peso alle divinità e cercano il Nirvana, uno stato al di là della gioia e del dolore. In ogni caso, per tutte queste religioni lo yoga serve ad uscire dal Samsara, il ciclo continuo di morti e rinascite per entrare nel Moksha, la liberazione.

In uno dei più importanti libri sacri dell'induismo, la Bahagavad-Gita, il dio Vishnu, assunto l'aspetto umano del cocchiere Krishna, spiega che esistono almeno quattro tipi di yoga:

  • Karma Yoga: la via dell'azione sacralizzata, l'agire disinteressato, compiendo il proprio dovere senza pensare alle conseguenze positive o negative che ciò possa avere. 
  • Jnana Yoga: la via della conoscenza spirituale, il cercare la verità metafisica dell'esistenza dietro le apparenze.
  • Bhakti Yoga: la via della devozione e dell'amore verso una divinità o anche solo verso un maestro spirituale.
  • Dhyana Yoga: generalmente viene intesa come via della "meditazione". In realtà il termine Dhyana in sanscrito si può tradurre anche come "contemplazione", esattamente lo stesso significato del greco Theoria. Si abbatte la divisione tra chi guarda e ciò che viene guardato, come nello Zen.
L'induismo, in aggiunta, riconosce molte altre vie per raggiungere l'unione con il Divino. Addirittura, ci sono stati maestri indù, quali Shri Ramakrishna e Vivekananda, che consideravano ogni religione una via valida. Oggi, forse, le cose sono cambiate con il diffondersi del movimento fondamentalista-nazionalista dell'Hindutva (indianità), il  quale si scaglia ferocemente contro cristiani e musulmani (ma il più famoso monumento dell'India, il Taj Mahal, è stato costruito da un re islamico).

Somiglianze e differenze

La sillaba "Om", usata come Mantra,  è divenuta il simbolo dell'induismo



Immediatamente scopriamo che una differenza tra lo yoga e l'esicasmo è nello scopo. Per un cristiano non ci sono altre vite terrene dopo la morte, ma solo la possibilità di un giudizio di salvezza o condanna. In più, Dio è considerato un essere personale, anzi un essere che si è incarnato in una persona umana, Gesù di Nazareth.

Nonostante ciò, ci sono somiglianze nella pratica: tanto gli yogi che gli esicasti ripetono continuamente una frase che li aiuta a concentrare la loro mente: per i primi è il Mantra, per i secondi la Preghiera di Gesù. Solo che, mentre il Mantra è considerato una frase sacra in sé stessa e, quindi, immodificabile (es. se è in sanscrito non può essere tradotta in altre lingue), la Preghiera di Gesù è sacra per il suo significato e, quindi, può essere abbreviata, allungata o modificata. Anche solo dire "Vieni, Signore" o "Signore, pietà" va bene lo stesso. Non importa neanche che si usi il latino, il greco, l'italiano o qualsiasi altra lingua.

Tuttavia, sia gli yogi, sia gli esicasti cercano di adeguare lo loro respirazione e persino il loro battito cardiaco alla recitazione delle loro invocazioni. Quindi, yoga ed esicasmo hanno in comune l'essere una pratica psico-fisica, ossia che unisce il corpo, la mente e lo spirito. Senza contare che le quattro vie esposte da Krishna nella Bahagavad-Ghita potrebbero essere sottoscritte anche dai praticanti dell'esicasmo.

Io non prendo posizione se sia meglio l'uno o l'altro. Ognuno deve scegliere sulla base della sua personalità e sul percorso che sta seguendo, semplicemente ho voluto fare alcune puntualizzazioni su queste due affascinanti scuole spirituali.

venerdì 9 luglio 2021

Perché Nanak Dev?

Ritratto di Nanak Dev


Dopo Gesù Cristo e il Profeta Muhammad, il terzo maestro a cui mi sento più legato è Nanak Dev (1469-1539). Si tratta del più apofatico dei tre. Nacque nella regione del Punjab, oggi divisa tra India e Pakistan, mentre da noi in Europa iniziava il Rinascimento. 

Il Punjab era allora parte del Sultanato di Delhi retto da sovrani musulmani, ma la convivenza tra indù e islamici era già difficile allora, come lo è oggi. Essendo l'induismo definito come "una polifonia di politeismi" e la religione musulmana come "il più assoluto dei monoteismi" ci troviamo davanti ad un vero scontro di civiltà molto più grande di quello che molti sostengono ci sia tra Islam e Cristianità. In fondo, mentre cristianesimo, ebraismo e zoroastrismo erano riconosciuti dal Corano come rivelati da Dio, della fede indù non si faceva menzione. Nonostante ciò, qualche punto di contatto c'è stato: alcuni dotti islamici, infatti, hanno creduto di riscontrare delle previsioni della venuta di Muhammad nei Veda, i testi sacri indiani (vedi link), inoltre, è esistito Kabir, un poeta mistico che ebbe tra i suoi discepoli sia indù, che lo consideravano un Guru, sia musulmani, che vedevano in lui un Sufi, cioè un mistico dell'Islam.

Tornando a Nanak,  nacque da una famiglia indù, ma suo padre lavorava per il Nawab (o nababbo), un dignitario musulmano locale. Lo stesso Nanak si trovò a fare da contabile-amministratore per questo signorotto. Si dice, però, che il futuro Guru fosse solito donare ai poveri i beni del suo padrone, che ricomparivano poi miracolosamente. A trentotto anni, Nanak riceve una rivelazione divina, mentre medita sulle rive del fiume Vein: "Non esiste né indù, né musulmano". Da quel momento, inizia per l'uomo un percorso spirituale che lo porterà a viaggiare in varie località, accompagnato dall'amico musicista Bhai Mardana: dallo Sri Lanka al Tibet, da Kabul a Baghdad, fino alla Mecca. I due incontrarono buddhisti, jainisti, zoroastriani e forse anche quei cristiani di rito assiro-caldeo che vivono nella regione indiana del Kerala. In ogni caso, Nanak declama inni, accompagnato dalla musica di Bhai Mardana, in cui spiega che esiste un unico Dio, che sta al di là delle religioni e delle loro pratiche di culto. 

Secondo le biografie, il Guru venne rimproverato da alcuni musulmani per dormire con i piedi rivolti verso la Mecca. Nanak replicò loro che potevano girare i suoi piedi verso un luogo in cui Dio non ci sia, se fossero stati in grado di trovarlo. Un'altra volta, vedendo dei Brahmani indù che lanciavano l'acqua del Gange verso il cielo come offerta ai loro antenati, si mise a lanciarla verso la terra. Alle domande di quei sacerdoti su cosa stesse facendo, Nanak spiegò che, se si poteva raggiungere con dell'acqua i propri defunti, lui preferiva donarla ai suoi amati sulla Terra.

Guru Nanak e Bhai Mardan che suona il Rabab


In pratica, Nanak, come Gesù, stava producendo una rottura con la fede istituzionalizzata. Contestò anche con la divisione della società in caste e con i sacrifici di animali, come avevano fatti tanti secoli prima di lui due altri "dissidenti" indiani, Buddha e Mahavira. Tuttavia, mentre questi due insegnavano ai loro discepoli, i buddisti e i jainisti, a distaccarsi dalla vita della gente comune per darsi all'ascetismo, Nanak sembra essere più un "mistico d'azione", simile a Gesù e Muahammad. Si sposa, ha dei figli e, lascia il lavoro da amministratore, per mettersi a coltivare la terra. Ai suoi seguaci, che chiama semplicemente Shish, "discepoli" in sanscrito, termine poi corrottosi in Sikh, dona tre semplici regole:

  • ricordarsi sempre del nome di Dio;
  • lavorare onestamente;
  • condividere con gli altri il frutto del proprio lavoro.
Mentre gli ultimi due comandamenti non hanno bisogno di spiegazioni, vorrei soffermarmi sul primo che mi pare rimandare a quella pratica del mantra, la ripetizione di una frase contenente il nome della divinità o a  cui si attribuisce valore divino. Il mantra diffusissimo nelle religioni orientali (si pensi al famoso Hare Hare Krishna, Hare Hare, Krishna Krishna) è molto simile all'esicasmo cristiano e al dhikr islamico. Anche in essi si ripete un'invocazione contenente il nome di Dio, in modo da mantenere viva nel proprio intimo la presenza divina.
Guru Gobind Singh



Nanak Dev è considerato il primo di una successione di dieci Guru che hanno dato origine alla religione detta sikhismo. In realtà, ne esisterebbe anche un undicesimo, l'Adi Granth, ossia il libro che raccoglie gli insegnamenti di tutti questi maestri e che viene chiamato Guru Granth Sahib (il signor Guru libro) e trattato come fosse una persona con tanto di seggio nei luoghi di culto. 
Qua dobbiamo aprire una questione delicata: fino a che punto il sikhismo è stato fedele all'insegnamento di Nanak Dev? Come Gesù e Confucio, non sembra che il Guru fosse intenzionato a fondare una religione, quanto piuttosto ad indicare un percorso di vita al di là di qualsiasi religione o ideologia. I suoi successori furono di altro avviso. Già, Hargobind, il sesto Guru, portava con sé due spade, raffiguranti una il potere spirituale e l'altra quello politico-militare. Addirittura, il decimo Guru, Gobind Singh riorganizzò completamente sikhismo, imponendo a tutti gli uomini di aggiungere alla fine del nome la parola Singh, leone, e a tutte le donne Kaur, principessa, dando loro fin dall'inizio un ruolo differente, laddove Nanak pensava ad un'uguaglianza tra i sessi. Inoltre, Gobind Singh stabilì che i Sikh non avrebbero dovuto tagliarsi i capelli e la barba, e portare sempre con sé una serie di oggetti, tra cui un pugnale "per difendere i più deboli". L'intento di entrambi questi maestri era quello di differenziarli sia dagli indù che dai musulmani, ma anche quello di dare loro un'organizzazione militare, seppure con scopi prevalentemente difensivi.  In Punjab era ormai scoppiata una lotta tra le varie confessioni.

Un uomo e una donna Sikh


Per questo, oggi i Sikh sono considerati "mistici guerrieri". Si sa dei loro molti conflitti in passato coi musulmani (quando il Punjab venne diviso tra India e Pakistan, si trasferirono in massa nella parte indiana), come pure del tentativo negli anni '80 di creare un loro stato nazionale, il Khalistan, conclusosi con una strage, l'operazione Bluestar, voluta da Indira Gandhi, la quale, per questo, finì poi uccisa proprio da una guardia del corpo Sikh. D'altro canto, la generosità dei Sikh è proverbiale: in ogni loro tempio c'è una mensa ed un dormitorio per i poveri di qualsiasi confessione religiosa.
L'accostamento che mi viene da fare con Gesù e Confucio non è casuale: per molti il cristianesimo sarebbe opera più degli Apostoli, in particolare de San Paolo, che non di Cristo, così come il confucianesimo sarebbe opera più di Mencio che non di Confucio. In più, entrambe queste religioni hanno finito per essere uno strumento ideologico al servizio del potere (o nel caso della Chiesa Cattolica un vero potere alternativo). In ogni caso, non penso che i Sikh, come accennavo riguardo alla loro propensione alla carità, abbiano in tutto rinnegato il pensiero di Nanak Dev, così come non penso i cristiani abbiano rinnegato Gesù e i confuciani Confucio. Semplicemente, come tutti gli uomini, hanno dovuto adattarsi alle diverse circostanze e, sempre come tutti gli uomini, non sono riusciti a non cadere in contraddizione. 
Resta il fatto che anche Nanak Dev è stato il maestro visionario di una fede apofatica, ben al di là di una semplice appartenenza confessionale, che sia l'Islam, l'induismo, il sikhismo o quant'altro.

venerdì 4 giugno 2021

"La non-violenza, una storia fuori dal mito" di Domenico Losurdo



 Spesso si attribuisce alle persone credenti la colpa di avere una visione troppo idealizzata della realtà e della storia. Per evitare di cadere in questo errore consiglio a tutti di leggere il saggio La non-violenza, una storia fuori dal mito, scritto dal filosofo e storico Domenico Losurdo. Questi era un convinto marxista, quindi alcuni potrebbero non gradire le sue idee. In ogni caso, assicuro che l'analisi di quei movimenti che, negli ultimi due secoli, si sono rifatti al concetto di non-violenza, è molto rigoroso ed assennato.

Lo scopo del libro non è, come molti hanno creduto, denigrare pacifismo ed esaltare l'azione rivoluzionaria e/o guerresca. Anzi, l'autore inizia il suo saggio proprio dicendo che, in un mondo in cui esistono armi di sterminio di massa, è una necessità trovare un percorso alternativo alla guerra per risolvere le controversie tra le nazioni.

Losurdo mette in risalto che, spesso, anche le persone con i più alti ideali devono scontrarsi con la realtà e, magari, la scelta tra violenza e non-violenze non risulta così semplice ed immediata. Per esempio, quei protestanti quaccheri e mennoniti che, nell'Ottocento, condannavano come anti-evangelica tanto la schiavitù, quanto la guerra, poi si sono trovati a dover sostenere l'azione armata del Nord contro il Sud, quando è stato chiaro che quest'ultimo non avrebbe mai accettato l'abolizione dello schiavismo. Una situazione simile è avvenuta in Russia durante la Grande Guerra: si doveva scegliere se continuare un conflitto interminabile e sanguinosissimo agli ordine dello Zar o ribellarsi contro il sovrano.

Ci sono certi passaggi che scardinano luoghi comuni su personaggi, come Gandhi o il Dalai Lama. Il primo arrivò all'idea di resistenza passiva, come pure all'idea di uguaglianza tra tutti i popoli, solo dopo un lungo percorso, ed ha spesso simpatizzato con chi si opponeva come lui all'Inghilterra (Mussolini, il Giappone e Stalin); il secondo è un Premio Nobel per la Pace che, però, ha sostenuto guerre contro il Vietnam e il Laos in nome dell'anticomunismo. Nello studio di Losurdo, appaiono forse più coerenti Martin Luther King, Danilo Dolci e Aldo Capitini.  

Tuttavia, anche e soprattutto per chi vuole vivere in maniera nonviolenta, vale la pena fare conto con il proprio passato per agire giustamente nel presente. In fondo, anche la Chiesa cattolica, oggi, riconosce di aver sbagliato a combattere le Crociate e ad aver creato l'Inquisizione.



Christian Universalism - a profession of faith (English version)

All the following sentences are not dogmas or revelated Thruths, but only my personal opinions. God is neither male, nor female, but He/She ...