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martedì 11 ottobre 2022

Meditazione focalizzata teistica (1): Introduzione




Chiedo scusa a tutti se non sono un sacerdote né un monaco, un rabbino o un imam.  Vi prego quindi umilmente di prendere le cose che scrivo con il beneficio del dubbio: non sono dogmi o rivelazioni avute da esseri soprannaturali, ma sole mie opinioni personali e, quindi, assolutamente contestabili.
Sono cristiano, ma riconosco un'ispirazione divina in tutte le religioni, per cui accetto di mettere da parte la mia visione del mondo per rivolgermi ai seguaci di qualunque fede, nonché agli atei e agli agnostici.
Come ho più volte spiegato, non credo sia possibile una sintesi fra tutte le religioni a livello dottrinario. Le visione teologiche e filosofiche troppo diverse: addirittura non in tutte le religioni si parla di "Dio" o di "anima", per lo meno non come li intendiamo noi in Occidente. Tuttavia su due elementi si può trovare delle similitudini, cioè la morale e la spiritualità.
Riguardo alla morale, se anche tra le varie tradizioni spirituali ci sono differenze su argomenti come l'alimentazione e la sessualità, d'altro canto esistono regole fondamentali che tutti accettano. Soprattutto ricorre la cosiddetta "Regola d'Oro": "Non fare agli altri quello che non vorresti gli altri facessero a te". Il primo ad esprimerla sembra sia stato il dotto cinese Confucio, mentre Gesù Cristo sarebbe l'unico a porla in positivo ("fa' agli altri quello che vorresti gli altri facessero a te").
Passando alla spiritualità, voglio prima precisare il significato di questo termine. Io concepisco la spiritualità come un lavorare sul proprio mondo interiore, e proprio per questo mi sembra un qualcosa di strettamente collegato all'etica, che invece regola i nostri rapporti con gli altri ed il mondo circostante. Scavando nel nostro sé possiamo arrivare al Trascendente, quello che comunemente noi occidentali chiamiamo Dio.
Qualcuno obbietterà che Dio è irraggiungibile, quindi è inutile cercare di costruire una relazione con Lui, altri che, in fondo, se il Divino è già dentro di noi, non serve nemmeno cercarLo. Entrambe le affermazioni sono incomplete. l'Assoluto, essendo infinito ed eterno, è impossibile da comprendere dalle menti di noi esseri umani, limitati nello spazio e nel tempo, però può essere, per così dire, "percepito" andando oltre i concetti astratti e i ragionamenti che continuamente facciamo su di Lui. Chi afferma che l'umanità e il Trascendente non si incontrino mai, in genere, è semplicemente qualcuno che non ha mai avuto occasione di fare esperienze della vicinanza di Dio.
Riguardo alla presenza del Divino in noi, io ne sono convintissimo, ma temo che non sia così facile entrare in contatto con Lui: siamo troppo distratti dalle mille impellenze della vita quotidiana, come pure dai nostri desideri, dalle nostre paure e immaginazioni per poter badare a Dio. Per giunta è sempre presente il rischio di fraintendere le vere ispirazioni divine dalle costruzioni del nostro inconscio.







Mi permetto di esporre un percorso spirituale, che io per primo sto cercando tra mille difficoltà di seguire: la meditazione focalizzata teistica, che per comodità abbrevio come MFT. Spieghiamo passa per passo, il significato di queste tre parole.
Il termine "meditazione" è stato usato per tradurre termini sanscriti come Dhyana e Bhavana. In realtà, il senso non è tanto quello di riflettere o ragionare su qualcosa, quanto piuttosto praticare uno o più esercizi psicofisici destinati ad aiutare la crescita spirituale. Fino a tempi recenti nella tradizione cristiana, la parola più usata per questo era "contemplazione".
La meditazione può essere di due tipi:
  • Attenzione focalizzata: ci si concentra un singolo oggetto, che può essere una parola, un'immagina, un testo scritto, una parte del corpo, una persona o altro. il Dhikr musulmano, la preghiera di Gesù e la lectio divina cristiane, la meditazione yogica classica e la Kabbalah meditativa ebraica rientrano tutte in questa categoria.
  • Attenzione aperta: si cerca di osserva tutto ciò che accade in noi e attorno a noi, senza attaccarsi a nulla, ma lasciandolo scorrere. Pratiche di origine buddista, come Vipassana, Mindfulness e meditazione panoramica tibetana, fanno parte di quest'altro raggruppamento.
Un'altra distinzione può essere compiuta sulla base dell'impostazione mentale di colui che medita( il meditante):
  • meditazione teistica: qualora il suo intento è l'incontro/unione con una divinità concepita come una persona.
  • meditazione a-teistica: se il suo scopo è invece raggiungere un Divino impersonale.
Facciamo attenzione che per "a-teistica" non si intende una pratica "atea": semplicemente questo tipo di meditazione proviene da tradizioni spirituali, come buddismo, taoismo e confucianesimo, non considerano indispensabile da venerazione di uno o più dei per la realizzazione spirituale, nonostante alcune frange di queste scuole di pensiero ammetano il culto per i loro fondatori (rispettivamente Buddha, Confucio e Lao-Tse) e per altri personaggi eminenti.
L'idea di un Dio-persona, tuttavia, rimane più tipica delle tre religioni di Abramo (ebraismo, cristianesimo e Islam), del sikhismo (un altro monoteismo ma non derivato da Abramo), dello shintoismo giapponese e di gran parte dell'induismo, come pure degli antichi culti di greci, romani, egizi, eccetera. La maggior parte delle religioni è quindi teista.
In questo saggio esamineremo un tipo di meditazione teistica focalizzata, non perché sia migliore della altre, bensì per il semplice motivo che è quella che io pratico. Non sarei in grado di parlare di Vipassana o di Zazen, visto che non mi ci sono mai accostato. Nei capitoli successivi prenderò in esame alcuni forme di MFT riprese da induismo, ebraismo, cristianesimo e Islam, quindi trarrò alcune conclusioni.

NB quelli che io propongo sono solo alcuni dei tanti metodi di meditazione possibili, quindi potranno non essere adatte a chiunque. In fondo non mangiamo tutti le stesse cose, non svolgiamo tutti lo stesso lavoro e, per fortuna, non ci innamoriamo tutti dello stesso uomo o della stessa donna. Perché non dovrebbero esserci diverse vie per raggiungere l'Assoluto, ciascuna più adatta a determinate persone piuttosto che ad altre?

CONTINUA



sabato 24 settembre 2022

Yoga, sufismo ed esicasmo: simili ma non uguali



In molti hanno provato a fare una sintesi di tutte le religione esistenti, alcuni in maniera quasi cialtronesca, come nel caso dell'occultista anglo-russa Madame Blavatsky, altri più coscienziosamente, come il mistico iraniano Baha'u'llah, fondatore della fede Baha'i. Io personalmente penso che non si possa trovare un accordo tra le diverse religioni e tradizioni spirituali sul piano dell'insegnamento dottrinario, bensì su quello delle pratiche mistiche, oltre che sulla morale. Per spiegare questo consentitemi di confrontare tre grandi scuole di spiritualità, cioè lo yoga, il sufismo e l'esicasmo.

Lo yoga nasce dell'induismo, una religione politeista in cui si venerano migliaia di dei, tuttavia gli indù ritengono che divinità, umani, animali, piante ed ogni altro essere non siano che tante espressioni del Sé universale, il Brahman. Il sufismo proviene dall'Islam, una fede monoteista assoluta con un Dio uno e unico. L'esicasmo dal cristianesimo - soprattutto ortodosso orientale - che è un po' un monoteismo "atipico", nel quale il Dio unico viene visto come la comunione fra tre persone, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Anche quello che si aspettano i seguaci di tali scuole è differente: gli indù cercando di ottenere la fusione del loro sé individuale con il Sé universale, in cui il primo scompare a favore del secondo; i cristiani parlano di Unio Mystica, unione mistica con Dio, o addirittura di Theosis, divinizzazione, intendendo con questo una comunione d'amore tra la creatura umana e il suo Creatore, senza però una vera fusione tra i due esseri; i Sufi hanno elaborato due concetti all'apparenza contraddittori, ossia il Fanah, l'estinzione del credente in Dio (che scompare come nell'induismo), e il Baqah, la sopravvivenza dello stesso in Dio (come nel cristianesimo). Le diverse confraternite Sufi tendono a dare più importanza all'uno o all'altro, oppure ad entrambi.

Nonostante ciò, il percorso mistico di uno yogi, di un sufi o di un esicasta appare simile nelle sue tappe. In primo luogo, tutti devono condurre uno stile di vita sobrio, cercando di controllare il proprio corpo e i propri istinti. Inoltre devono guardarsi bene dall'arrecare danno agli altri. Tutto questo è un cammino di purificazione che anticipa le pratiche mistiche vere e proprie. I maestri delle varie tradizioni sono concordi nell'affermare che, senza queste premesse, il cammino spirituale non porterà a nulla.



Seguono a questo punto degli esercizi psicofisici per unificare corpo, mente e spirito. Per esempio cercare di portare tutta la propria attenzione su una parola o una frase è una pratica comune. Fra gli yogi si chiama Mantra, tra i sufi Dhikr, tra gli esicasti Preghiera del Cuore o Preghiera di Gesù. Soprattutto i musulmani e cristiani ortodossi sembrano identificare in gran parte la loro spiritualità proprio con queste due pratiche, tuttavia la Preghiera di Gesù può venire tradotta in varie lingue o modificata a seconda delle esigenze del fedele, mentre Mantra e Dhikr devono restare sempre invariate, poiché considerate parole sacre in sé stesse. Specie del primo, spesso, si ritiene più importante il suono delle parole rispetto al loro significato.

Tutti conosciamo la sillaba "Om" (a volte scritta Aum), che per l'induismo è il suono primordiale, qualcuno avrà sentito pure il mantra che cita Krishna e Rama, due avatar del dio Vishnu: "Hare Krishna Hare Krishna/ Krishna Krishna Hare Hare/ Hare Rama Hare Rama/ Rama Rama Hare Hare".  Nel Dhikr viene usata la professione di fede islamica, "Là Ilaha Illà Allah" (Non c'è altro dio all'infuori di Dio), oppure versetti del Corano, o ancora semplicemente le parole Allah (Dio) e Hu (Lui). Nell'esicasmo si usa la preghiera apparsa sul Monte Athos durante il Medioevo, "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore", ma esiste anche quella più antica, risalente al primo monachesimo "Vieni, Signore in mio aiuto/Vieni presto in mio aiuto". In Occidente è utilizzata anche la frase in aramaico "Maranathà" (Vieni, Signore), divulgata dal benedettino irlandese, John Main, il quale, tuttavia, non era un esicasta ortodosso.

A questo punto si arriva ad una condizione di pace e silenzio interiore, quello che lo yoga chiama Samadhi, mentre i mistici cristiani e islamici usano tanti termini diversi. Per spiegare questa varietà di linguaggio bisogna tenere presente che, mentre in India si sono adeguati tutti alla terminologia usata nello Yoga Sutra, attribuito al saggio Patanjali e redatto forse tra il II secolo a.C. ed il V d.C., nei paesi cristiani e musulmani ogni mistico aveva un suo proprio vocabolario. 

Tornando al Samadhi, è possibile che in esso avvenga l'incontro con l'Assoluto, indipendentemente da qualunque modo lo si voglia chiamare, ma nessuno può forzare questo evento. Solo Dio può decidere di manifestarsi. Potremmo paragonarlo ad un incontro d'amore: io posso dare appuntamento alla donna o all'uomo che ama, però solo lei/lui può decidere se presentarsi o meno. In ogni caso il percorso spirituale è sempre utile. Parlando per esperienza personale, se anche non ho mai sperimentato una vera Unio Mystica, posso ugualmente dire di aver sviluppato un rapporto quotidiano con il Divino, che mi aiuta anche a migliorare le mie relazioni con me stesso, con gli altri e con la natura. Come insegna San Giovanni Climaco: "Non tutti possono arrivare ai più alti gradi del cammino spirituale, ma tutti possono essere riconciliati con Dio".



sabato 22 gennaio 2022

La pratica della meditazione (2) alcuni errori da evitare


 


Tutti cadiamo in alcuni errori di approccio alla meditazione. Eccone alcuni dei principali:

  •  Per esempio, specie se si parla di yoga o tai chi, molti credono che siano solo una forma di ginnastica per restare in forma. In tal caso, con tutti gli sport che ci sono, sarebbe quasi superfluo meditare.
  • Altri si aspettano di aver trovato una sorta di "abracadabra" che fa sparire i problemi. In realtà, i problemi non spariscono, ma, meditando, si può cambiare il nostro modo di vederli e, magari, riuscire a risolverli.
  • Altri ancora vanno in cerca del miracoloso, di sensazioni o visioni entusiasmanti. I maestri, invece, insegnano che, raggiunto un certo grado di ascesi, si può sì avere la percezione di luci, colori, immagini o persino odori fuori dall'ordinario, però non bisogna soffermarsi su queste esperienze, altrimenti si finirebbe col perdere la concentrazione necessaria al proprio percorso.
  • Specie quando si è all'inizio (anche io ci sono passato), si tende a passare da un percorso all'altro: magari prima lo yoga, poi lo zen, poi ancora il sufismo o l'esicasmo, ecc. In pratica siamo come un telespettatore che fa zapping senza vedere nessun programma per intero. Una volta trovato il proprio percorso, bisogna restargli fedele, come quando ci si sposa o si va a convivere con la persona amata, non la si abbandona da un giorno all'altro per una più bella.
  • A volte ci si lascia prendere da una specie di "narcisismo spirituale", per cui si pensa di essere già dei santi, degli illuminati, quando stiamo ancora muovendo i primi passi. Peggio ancora, si concepisce la mistica come qualcosa di staccato dalla morale: "basta che io mi senta bene dentro di me, non importa ciò che faccio agli altri" ci si ripete. Al contrario, i maestri spirituali ci insegnano che il primo passo verso la crescita interiori, precedente a qualunque pratica, sta nel condurre una vita retta.
  • Inoltre, si può ridurre il percorso mistico ad una semplice conoscenza intellettuale. Anche questo è un errore, in cui io cado spesso. Swami Vivekananda, lo yogi indiano, spiegava esiste una differenza tra lo studioso e il mistico: il primo entra in un frutteto e comincia a contarne quanti rami ha ogni albero, e quante foglie o frutti ci sono su ogni ramo. Il mistico, invece, è colui che raccoglie i frutti e li mangia. Lo studioso ha solo una conoscenza indiretta della cose, il mistico le sperimenta su sé stesso, cercando di "gustare" letteralmente il sapore del Divino.
  • Si pensa che la pace interiore o qualsiasi altro traguardo dipenda esclusivamente dalla nostra volontà. In pratica ci si fa violenza da soli per abolire tutti i pensieri, i sentimenti, gli impulsi che potrebbero sviarci, eppure si resta sempre frustrati, perché la meta non arriva. Invece, la percezione del Divino è un dono, non la si può costruire. La meditazione serve più che altro a prepararci ad accoglierla. Fintanto che non arriva, bisogna restare in attesa con pazienza e perseveranza
  • L'errore più insidioso di tutti: affidarsi ad un falso maestro. Molti oggi si presentano come yogi, sufi, padri spirituali, insegnanti di meditazione o simili senza esserlo veramente. Non sempre è facile riconoscerli e, purtroppo, il rapporto che si instaura con un maestro è simile ad una relazione affettiva: persino se si rivela fallimentare, è difficile staccarsene. Pensate ad un donna che ha un marito ubriacone e manesco, magari è talmente innamorata di lui che, non solo non lo lascia, ma fabbrica con sé e gli altri ogni menzogna possibile per giustificarlo. Forse una prima distinzione è che un vero maestro non pretende ricompense né economiche, né di altro tipo, come Socrate che donava gratis i suoi insegnamenti e criticava gli altri filosofi, i quali, invece, chiedevano un pagamento ai discepoli. Un'ulteriore cernita sta nel fatto che un buon maestro non cerca di tenere legati a sé gli allievi: qualora uno di questi voglia lasciarlo, non lo costringe a restare. Inoltre i veri mistici hanno grande umiltà, non si vantano dei propri meriti, non si autoincensano e, soprattutto, non cercano di imporre le proprie decisioni o le proprie idee con la forza.
Un ultimo appunto, forse più importante degli altri. Se soffrite di disturbi fisici e/o psicologici, prima di darvi alla meditazione, consultate un medico o uno psichiatra, altrimenti non solo rischiate di non avere nessun beneficio, ma di farvi ulteriormente del male. La meditazione è aperta a tutti, però richiede salute fisica e mentale per poterla praticare correttamente.

lunedì 10 gennaio 2022

La pratica della meditazione (1)

 Dopo tante discussioni teoriche sulle religioni, volevo passare a parlare di quello che, secondo me, è il fulcro dell'esperienza religiosa, ossia la meditazione. Lo faccio a partire da alcuni video postati su YouTube da Axel Bayer, monaco benedettino della Congregazione Camaldolese, nonché insegnante di yoga.

Nel primo video Bayer prende in esame le due grande metodologie della meditazione: Vipassana, ossia allargare la propria attenzione a tutta la realtà circostante, e Dhyana, concentrarla su un unico oggetto, che sia un'immagine, una parola, un testo scritto, una parte del corpo o altro. In questa seconda categoria il monaco fa rientrare lo yoga, l'esicasmo ortodosso, il dhikr musulmano e persino alcune pratiche del cattolicesimo, quali il rosario e la lectio divina (la lettura meditata delle Sacre Scritture).

Nel secondo Bayer passa a mettere in confronto alcuni testi che trattano della meditazione: il primo è lo Yoga Sutra, uno scritto indiano attribuito al saggio Patanjali, gli altri sono principalmente di mistici cristiani: si va da Evagrio Pontico a Giovanni Climaco, da Giovanni della Croce all'ignoto autore medievale de La Nube della Non-Conoscenza fino a Tommaso d'Aquino che, in genere, non è  classificato come un mistico, ma come un teologo "razionale".  

Innanzitutto, ci si trova davanti ad una differenza di termini: mentre in India tutti i maestri spirituali si sono adattati alla terminologia usata da Patanjali, nel cristianesimo ogni maestro ha adoperato parole diverse per descrivere la sua esperienze. Per esempio, se il traguardo dello yoga è lo stato di vicinanza al Divino, chiamato Samadi, nella tradizioni cristiana alcuni parlano di preghiera pura, altri di contemplazione, altri ancora di Hesychia (in greco silenzio, quiete) o addirittura di Theosis (deificazione, divinizzazione).

 Se passassimo ad esaminare anche la mistica islamica, ebraica, buddista, shintoista o taoista troveremmo tantissimi altri termini diversi, ma tutto questo non deve spaventare: come ripeto sempre, se ci fermiamo all'aspetto concettuale delle religioni, le troveremo sempre inconciliabili, invece se passiamo a quello pratico e, per così dire, apofatico (ossia che trascende i concetti), troveremo comunanze sorprendenti. Seppure scaliamo montagne diverse, il cielo sopra noi tutti resta lo stesso.





martedì 30 novembre 2021

Cosa unisce le differenti tradizioni spirituali?

René Guénon


Olivier Clément

Anch'io, come molti altri, quando ho iniziato ad interessarmi di spiritualità, sono venuto a contatto con il pensiero di René Guénon (1886-1951), filosofo metafisico francese. Secondo quest'ultimo dietro a tutte le grandi correnti spirituali che hanno attraversato la storia umana si nasconde un'unica grande verità esoterica, la "tradizione primordiale", di cui le diverse religioni sono solo la versione "essoterica" per il volgo.  Si tratta di una teoria affascinante, ma che non ha alcun fondamento storico: è frutto casomai di un certo occultismo ottocentesco. Per esempio Madame Blavatski e la Società Teosofica da lei fondata (odiatissima da Guénon che la considerava una pseudo-religione), più o meno, sostenevano le stesse cose. Certo, può essere valido come mito, e i miti sono sempre "veri", ma la loro verità è di un livello differente rispetto a quella della vita di tutti i giorni.

Va detto comunque che Guénon possiede il merito personale di aver cercato di mettere in pratica le sue teorie: voleva seguire una religione tradizionale e si fece musulmano, cambiando nome in Abd al-Wahid Yahya e trasferendosi in Nord Africa; voleva ricevere un rito di iniziazione, lo trovò aderendo ad una confraternita Sufi. D'altro lato, Guénon non accettava quell'insieme di cose che noi chiamiamo genericamente "modernità" (scienza, psicanalisi, socialismo, femminismo, eccetera). Per lui solo la tradizione è buona, più ci si allontana da essa, più si decade. Forse non è un caso se certi suoi seguaci, come l'italiano Julius Evola e il rumeno Mircea Eliade, in seguito, aderirono al fascismo.

Penso di aver trovato solo in seguito un maestro più aperto alla modernità in un altro pensatore francese, il teologo e storico Olivier Clément (1921 - 2009). Anche Clément era un ricercatore spirituale che ha voluto aderire ad una grande tradizione religiosa (nel suo caso la Chiesa Cristiana Ortodossa), ma allo stesso tempo non si è mai opposto in blocco alla modernità: sulla scia di quello che considerva il suo maestro, il filosofo russo Nikolaj Berdjaev, diceva che bisognava integrare i tre "maestri del sospetto", cioè Marx, Freud e Nietsche, in un cristianesimo rinnovato. Per lo meno ciò che c'è di positivo nel loro pensiero, lasciando a parte certi eccessi che ci porterebbero, per esempio, portare a rinnegare la spiritualità.

Sempre Clément insegnava che non bisogna cercare un nucleo comune a tutte le religioni e filosofie in qualche conoscenza segreta. Anzi, se noi analizziamo la dottrina delle varie fede, ci accorgiamo che, laddove ci sono somiglianze, ci sono anche molte differenze: cristiani, ebrei, musulmani e Sikh credono in un Dio unico, mentre indù e shintoisti giapponesi in tante Divinità. Addirittura buddisti e confuciani ritengono che la fede in uno o più Dei non sia indispensabile per il cammino interiore. Forse, però, la vera differenza è che per alcuni il Divino è una persona (soprattutto il cristianesimo predica un Dio incarnato), per altri un'entità impersonale (in questo i Sikh si differenziano dagli altri monoteisti e si avvicinano invece a indù  e buddisti). In compenso, per usare le parole dell'autore che stiamo trattando, "Vi sono gesti e atmosfere religiose che sono un po' ovunque gli stessi. I monasteri del Monte Athos, per la loro architettura, somigliano a quelli del Tibet, il ritualismo russo a quello dell'India; l'incenso, le campane, le luci si diffondono, si spargono, si rispondono e si ritrovano dal Messico a Bali. A Lourdes si trova la grotta delle religioni arcaiche e gli indù esiliati in Francia vi si recano volentieri".

Per il teologo francese dobbiamo cercare "non al di sopra delle diverse religioni, una sorta di unità trascendente degli esoterismi, ma piuttosto al di sotto, quasi uno zoccolo comune. Al primo posto sta l'ascesi, soprattutto monastica. Simili sono i metodi per liberarsi dalle passioni, per chiarire i pensieri, per strutturare la memoria della morte e del divino, per ottenere il sopimento dei sensi e il risveglio del cuore, per giungere ad una conoscenza diversa, inseparabile da una vibrazione di tutto l'essere nel tentativo di unificarlo". Esistono veramente comunità esoteriche riservate a pochi iniziati, come nel sufismo islamico e nella Qabbalah ebraica, ma in genere il vero problema dei mistici non è il dover mantenere la segretezza, bensì il fatto che le loro esperienze sono difficili da comunicare ad altri. Se si leggono i loro scritti, si trovano spesso termini opposti associati insieme, addirittura identificati fra loro, ad esempio "luce/oscurità", "gioia/dolore", "tutto/nulla". Questa è la via apofatica, non concettuale, che i monaci e i mistici di tutte le religioni e filosofie cerano di percorrere.

NB tutte le frasi di Clément sono prese dall'intervista rilasciata a Jean-Claude Noyer e pubblicata nel volume Memorie di Speranza, edito da Jaca Book.

venerdì 3 settembre 2021

Meditazione e mistica. Come orientarsi?

Avevo già scritto un post tempo fa su quanto sia difficile definire cosa sia una religione, visto che persino la credenza in una o più divinità ed in una vita oltre la morte non sono elementi presenti in tutte quelle che noi oggi definiamo come religioni. Inoltre ognuna di esse tende a dividersi al suo interno in più confessioni, le quali, a volte ma non sempre, si combattono tra loro.

Un mandala tibetano

Calligrafia araba con il Nome di Allah


Tralasciando tutte questi dilemmi, nonché le polemiche da essi suscitati, possiamo ugualmente affermare che in tutte le Chiese cristiane ed in tutte le grandi religioni è presente una mistica, intesa come una ricerca dell'Assoluto. Certo, l'immagine che si dà a questo Assoluto cambia: per cristianesimo, Islam ed ebraismo si tratta della Comunione con un Dio personale. Per induismo e sikhismo (nonostante il primo sia politeistico ed il secondo monoteistico) l'unità ricercata è quella con una Divinità impersonale, quindi più che di Comunione, in cui ognuno rimane sé stesso, si deve parlare di Fusione, nella quale si perde la propria identità . I buddisti, invece, cercano l'Illuminazione, gli shintoisti giapponesi la Purificazione, ecc. Nonostante ciò, i mezzi, che i mistici di tutte le religioni usano nel loro cammino, appaiono incredibilmente simili.

Il Nome di Dio in ebraico (si legge alla rovescia)



Chiarisco subito che la via mistica non è un sistema per ottenere poteri magici o paranormali. Sebbene ammetto che eventi inspiegabili possano anche accadere, ma non sono essi il fine. Non è nemmeno così strettamente necessario separarsi dagli altri esseri umani, per condurre un'esistenza da asceti in mezzo al deserto o sul cucuzzolo di una montagna, anche se per alcuni individui possa essere questa la strada migliore da percorrere nella propria vita. Non serve nemmeno un rito di iniziazione, come credeva René Guénon, un pensatore per altri versi interessante, ma che aveva una sorta di ossessione per tutto ciò che era esoterico, ossia riservato a pochi. Caso mai può essere utile per un serio cannino spirituale trovarsi un maestre e/o fare parte di una comunità. In tal caso esistono comunità che hanno un'impostazione iniziatica ed accettano solo pochi membri selezionati (es. i cabalisti ebrei o i Sufi musulmani). In genere, però, la mistica è un cammino aperto a tutti, uomini e donne di qualunque ceto sociale, lingua, cultura, nazionalità ed orientamento sessuale, poiché non è nient'altro che la spiritualità già dimorante in ciascuno di noi. Il nostro compito è solo quello di coltivarla e farla crescere. 

A questo punto sorge spontanea una domanda: come coltivare la propria spiritualità? Uno dei testi più importanti dell'induismo, la Bhavagad-Gita, raccoglie un dialogo tra Krishna, un avatar del dio Vishnu, e il principe Arjuna. Il dio insegna a questi quattro percorsi che un uomo può seguire per raggiungere l'elevazione spirituale, pur precisando che ne esistono anche altri. Essi sono:

  • Karma Yoga: la via dell'azione sacralizzata, l'agire disinteressato, compiendo il proprio dovere senza pensare alle conseguenze positive o negative che ciò possa avere. Penso che la Chiesa cattolica, pur avendo molto colpe, abbia sfornato molti "mistici d'azione" che hanno seguito questa strada, per esempio Caterina da Siena, Brigida di Svezia, don Milani e Oscar Romero.
  • Jnana Yoga: la via della conoscenza spirituale, il cercare la verità metafisica dell'esistenza dietro le apparenze. Si tratta del percorso seguito da tutti i filosofi e i teologi: da Socrate a Tommaso d'Aquino, dal rabbino ebreo Maimonide agli islamici Ibn-Arabi e Sohravardi.
  • Bhakti Yoga: la via della devozione e dell'amore verso una divinità o anche solo verso un maestro spirituale. È forse la strada più percorsa dai fedeli di un po' tutte le religioni. 
  • Dhyana Yoga: generalmente viene intesa come via della "meditazione". In realtà il termine Dhyana in sanscrito si può tradurre anche come "contemplazione". Nella tradizione cristiana il termine "contemplazione" è molto più usato per intendere il calarsi nel proprio intimo, andando oltre tutti i concetti (apofatismo), mentre con "meditazione" si intende una riflessione ancora legata alla ragione e ai concetti (catafatismo).
San Mosé l'Etiope medita davanti un'icona


In questo post voglio concentrarmi soprattutto sul Dhyana Yoga o, come lo chiamo io, la via apofatica. Ci sono differenti metodi per raggiungere lo stato di contemplazione/meditazione. Ne elenco i principali:

  • concentrarsi su una parola o una frase. È la pratica del mantra, presente nelle religioni del Subcontinente indiano (induismo, buddismo, jainismo, sikhismo), ma ha un parallelo nella Preghiera di Gesù o esicasmo cristiano e nel Dhikr musulmano.
  • concentrarsi su un'immagine. L'esempio tipico sono i mandala buddisti, ma anche il culto dell'icona presente nelle Chiese ortodosse è molto simile. Tra gli ebrei e i musulmani c'è chi si concentra su una parola della Scrittura, sulla sua grafia in ebraico o in arabo (considerate lingue sacre di per sé stesse). In particolare molti rabbini cabalisti meditano sul Nome di Dio, il tetragramma JHWH.
  • concentrarsi su un'idea, non più quindi su un'immagine fisica ma su un'immagine mentale.
  • preghiera spontanea. Molto più difficile di quanto non si creda. Bisognerebbe riuscire a mantenersi sempre sullo stesso argomento o, per meglio dire su un solo gruppo di idee collegate fra loro. Io per primo ho difficoltà a praticare questo metodo.
  • immobilità mentale. È una tecnica molto elevata e difficile da raggiungere. L'esempio più significativo è lo Zen, una pratica buddista predicata in Cina dal monaco indiano Bodidharma, ma oggi diffusa soprattutto in Giappone, che prevede l'immobilità totale sia del corpo che del pensiero, sino ad arrivare ad uno stato chiamato Zazen.

venerdì 13 agosto 2021

Trascendenza: immaginale e immaginario



In questi giorni sto leggendo il libro Corpo spirituale e Terra celeste - Dall'Iran mazdeo all'Iran sciita. L'autore, Henri Corbin (1903-1978), era un filosofo e persianista francese. Nel saggio Corbin mostra come molti aspetti dell'antica religione persiana, lo zoroastrismo o mazdeismo, siano rimasti in vita nella mistica islamica sciita fino ai giorni nostri. Semplificando molto, lo studioso fa notare come, tanto per i mazdei quanto per gli sciiti, esistano diversi mondi: il mondo sensibile, cioè quello materiale, percepibile dai sensi; il mondo intelligibile, che è la sfera delle idee e del pensiero. Infine, il mondo immaginale, il quale è una sorta di zona intermedia tra i due, un "inter-mondo" lo definisce. 



Corbin, a più riprese, si premura di specificare che l'immaginale non è l'immaginario, ossia della fantasia. Piuttosto, si tratta di qualcosa di reale, ma di una realtà diversa da quella che possiamo percepire con i nostri sensi o che possiamo elaborare con la nostra intelligenza. Il mondo immaginale è il regno della meditazione e delle Rivelazioni divine. In esso i mazdei collocano la loro Eptade divina, composta dal Dio supremo, Ahura Mazda, dai suoi sei Arcangeli, gli Amesha Spenta; sempre in esso, gli sciiti collocano i "Quattordici Immacolati", ossia il Profeta Muhammad, sua figlia Fatima e i dodici Imam che sono succeduti al Profeta. Questi quattordici esseri, esenti da errore e da peccato, sarebbero preesistenti alla nascita sulla Terra dei loro omologhi storici, un po' come, nel cristianesimo, il Logos divino precede la nascita fisica di Gesù dalla Vergine Maria. Il mondo immaginale è anche il mondo della Resurrezione, un concetto che sembra gli ebrei abbiano acquisito proprio dagli antichi iranici, per poi trasmetterlo a cristiani e musulmani. 

i dodici Imam sciiti


Penso che per molti uomini e donne credenti che conosco, ed anche per me personalmente, credere nella Resurrezione, oggigiorno, sia molto difficile: tutti sappiamo che il corpo, dopo la morte, si decompone fino a scomparire. Se si salva qualche osso, è già tanto. In più, anche il pianeta su cui viviamo (e che ci precede di milioni di anni, non di soli cinque giorni) è destinato presto o tardi a scomparire. Dove potranno mai vivere gli esseri umani risorti? Forse si trasferiranno su altri pianeti? Tutto questo ci impedisce di accettare razionalmente uno dei concetti-chiave della nostra fede. Se, però, noi pensiamo che la Resurrezione è un fatto reale, ma che avviene su un piano di realtà diverso da quello consueto, ci diventa qualcosa di credibile. Lo stesso vale per la Presenza di Cristo nel pane e nel vino eucaristici, oppure per i cattolici romani l'Assunzione di Maria al cielo "in anima e corpo". Senza un mondo immaginale, tutti questi dogmi di fede finiscono per venire considerati giusto delle metafore, delle parabole illuminanti, ma che, in fin dei conti, sono pura fantasia.

Sempre Corbin sottolinea come nel mondo immaginale ha sede la Sofia divina, quell'entità che per i mazdei è l''arcangelo femminile Spenta Armaiti e per i musulmani sciiti Fatima. Essa è inoltre la Shekinah della mistica ebraica, ossia la Presenza di Dio sulla Terra. "Sofia", in greco, significa Sapienza, qualcosa di diverso dalla semplice conoscenza concettuale (definita dai greci "Gnosis"), una sapienza che presuppone una partecipazione, un sentire il sapore delle cose. Quella che si può raggiungere con la vita spirituale, la ricerca del trascendente.

La discesa dello Spirito Santo su Maria e i discepoli


A questo punto, qualcuno penserà che la Sofia, per un cristiano, potrebbe essere la Vergine Maria, quella "dea" Maria, nella quale ortodossi e cattolici romani vengono accusati di aver recuperato elementi di divinità pagane, quali Iside, la Luna, sposa e madre del Sole, e Gea, la Madre Terra. Io, personalmente, ritengo invece che la Sofia sia lo Spirito Santo. Se il nome di quest'ultimo, infatti, nelle lingue latine è al maschile, in quelle semitiche è al femminile: Spirito si dice in ebraico "Ruah", in aramaico "Ruo" e in arabo "Ruh". Tutti termini femminili!

Certo, qui potrei essere accusato di sincretismo o di relativismo, ed effettivamente mi viene la tentazione di rispondere con Pirandello "così è, se vi pare". In ogni caso, dobbiamo pensare che la teologia cristiana e cattolica ha sempre acquisito qualcosa dalle scuole di pensiero che incontrava sul suo cammino: I Padri della Chiesa erano influenzati da Platone e dai neoplatonici, Tommaso d'Aquino da Aristotele, i Teologi della Liberazione da Carlo Marx. Tutti questi sono stati cambiamenti positivi. Perché non possiamo acquisire l'idea di mondo immaginale e di Sofia dalla cultura iranica?

sabato 24 luglio 2021

L'esicasmo è lo yoga cristiano?

L'esicasta Isacco di Ninive



Ultimamente capita spesso di leggere articoli in rete che parlano dell'esicasmo come di una forma di yoga o di meditazione trascendentale. Il primo a scrivere un saggio dal titolo Esicasmo: Yoga Cristiano fu Anthony Bloom, un vescovo ortodosso russo espatriato in Occidente (il suo nome di battesimo era Andrej Borisovic Blum) e potete leggerlo a questo link

La preghiera esicasta, infatti, è parte della spiritualità delle Chiese cristiane ortodosse, ed è presente sia tra quelle di tradizione duofisita (i greci e gli slavi), che riconoscono l'umanità e la divinità di Cristo come due nature distinte, sia tra quelle miafisite (i copti, i siriaci e gli armeni) che le considerano un'unica natura. Persino la Chiesa assira d'Oriente, che è separata da entrambi i rami dell'ortodossia, ha una sua tradizione di esicasmo, incarnata dal mistico medievale Isacco di Ninive, venerato da tutti gli ortodossi col nome di Sant'Isacco il Siro.

 In Occidente, l'esicasmo ha cominciato ad essere conosciuto solo nel secondo Dopoguerra, in parte tramite quei religiosi ortodossi che fuggivano dal comunismo, come il sopracitato Bloom, in parte grazie a occidentali convertiti, per esempio Olivier Clément in Francia e Kallistos Ware in Inghilterra. In questo modo, la preghiera esicasta è divenuta trasversale a tutte le Chiese cristiane, tanto che  anche l'anglicano Rowan Williams, arcivescovo emerito di Canterbury, la pratica, così pure il cattolico Enzo Bianchi, fondatore del Monastero di Bose.

Cos'è l'esicasmo?

San Gregorio Palamas


Il termine "esicasmo" viene dal greco Esichia, che significa silenzio o quiete. Molti esicasti ritengono che la loro pratica, legata alla ripetizione di una breve invocazione contenente il nome di Gesù, sia stata insegnata da Cristo stesso ai suoi Apostoli. Nei Vangeli, però, non c'è traccia di questo evento. L'unica preghiera insegnata da Gesù sarebbe il Padre Nostro, tuttavia Cristo dice ugualmente cose importanti su come si prega. In primis che non bisogna "sprecare parole come i pagani" (Matteo 6,7) e subito dopo: "Tu, invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà" (Matteo 6,6). Da notare che, a quei tempi, ben pochi potevano avere una stanza tutta per loro. La stanza in cui chiudersi per adorare Dio sarebbe dunque quella interiore, il proprio cuore, nel quale gli antichi vedevano non tanto la sede dei sentimenti, quanto il centro di tutta la persona. Se a ciò aggiungiamo la frase di San Paolo "Occorre pregare sempre", si capisce la necessità per i cristiani di elaborare un metodo per mantenersi sempre in uno stato di preghiera interiore.

L'esicasmo nasce così attorno al IV secolo d.C. tra i Padri e le Madri del Deserto, ossia i primi monaci e monache cristiani, presenti tra Egitto, Siria e Palestina. In particolare, il metodo va definendosi nel Sinai, dove vengono redatti alcuni grandi testi spirituali, quale La Scala del Paradiso (o Scala delle Virtù) di San Giovanni Climaco, molto conosciuta e stimata pure dai cattolici romani. In seguito, l'esicasmo raggiunge il Monte Athos, in Grecia, forse anche grazie all'arrivo lì di San Gregorio il Sinaita dall'Egitto. Qui viene elaborata la cosiddetta Preghiera di Gesù, "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore" che va a sostituire l'invocazione usata dai Padri del Deserto, "Vieni, Signore, in mio aiuto. Vieni presto in mio aiuto".  

Nel XIV secolo scoppia una controversia contro gli esicasti a causa di un filosofo, Barlaam il Calabro (che oggi sarebbe considerato un italiano). Non sono giunti a noi scritti di questo autore, ma sembra accusasse i monaci del Monte Athos di non venerare veramente Dio ma solo il loro ombelico! Per Barlaam, a quanto sembra, era impossibile entrare in contatto diretto con Dio, tutt'al più si poteva discutere di lui in ambito filosofico-dottrinale. A difesa degli esicasti scrisse invece San Gregorio Palamas, che dette un'inquadramento teologico all'esicasmo: Palamas distinse tra l'essenza di Dio, che resta inconoscibile alle sue creature, e le energie divine, che, invece, compenetrano la natura creata, umanità compresa. Proprio le energie di Dio possono essere percepite dagli esseri umani mediante l'ascesi e la preghiera. La Chiesa ortodossa fece propria la dottrina di Palamas e l'esicasmo si diffuse nei paesi slavi, in cui l'ortodossia si era diffusa. 

Un altro passaggio importante fu la pubblicazione a Venezia nel 1782 della Filocalia (in greco "amore per la bellezza"), una raccolta di testi di tutti i grandi esicasti, redatta dal monaco Nicodemo dell'Athos e dal vescovo Macario di Corinto. Questa antologia conobbe poi altre edizioni in slavone, russo e rumeno, dove spesso si toglievano alcuni scritti o se ne aggiungevano di nuovi. In ogni caso gli esicasti potevano contare su un'esaustiva guida per il loro percorso spirituale, il quale si articolava in tre tappe:

  1. Praxis (la pratica): con l'aiuto della Preghiera di Gesù il mistico cerca di spegnere quelle passioni negative come l'avidità, la superbia, la lussuria, l'ira, ma anche la paura, la tristezza, l'ossessione per la morte, la quale in parte spaventa ed in parte attrae.
  2. Theoria Physiche (la contemplazione della natura): l'esicasta comincia a riconoscere le energie divine nel mondo circostante, umano e naturale. Si potrebbe paragonare tale tappa allo stato in cui San Francesco, in Occidente, componeva il Cantico delle Creature, oppure alla leggenda dal sapore Zen in cui un monaco, osservando la neve che cadeva, "comprese la neve".
  3. Theoria vera e propria (contemplazione di Dio), : non è chiaro se l'esicasta raggiunga questo stato durante la vita terrena o dopo la morte. L'asceta è completamente travolto dalla visione beatifica di Dio. Da alcuni la Theoria è detta anche Theosis (divinizzazione), ma non tutti concordano se il termine vada preso alla lettera, con l'uomo che diventa Dio, o in senso metaforico, ossia l'uomo è semplicemente reso simile a Dio, poiché partecipe della Sua grazia.

L'esicasmo non è una conoscenza esoterica da tenere nascosta alla masse, ma è ugualmente un percorso ascetico che, forse non tutti sono in grado di seguire. Gli esicasti affiancano la Preghiera di Gesù con l'osservanza dei comandamenti, la partecipazione all'Eucarestia e agli altri sacramenti, la lettura delle Scritture, la penitenza, i digiuni, le vegli notturne e le opere di carità. Ad ogni modo, chiunque può provare a recitare la Preghiera di Gesù, cercando di regolarla sul proprio respiro e concentrando la mente solo su di essa, lasciando defluire tutti gli altri pensieri. Ciò conduce col tempo ad un senso di pace interiore e, magari, fare quell'esperienza di meditazione profonda, chiamata "preghiera del cuore".


Cos'è lo yoga?

Nella Bahagvad-Ghita, il divino Krishna dà alcune spiegazioni sullo yoga


Diciamo subito che lo yoga è qualcosa di molto più complesso di una semplice ginnastica. Non è nemmeno unicamente un metodo per rilassarsi. Queste sono banalizzazioni che ne abbiamo fatto noi occidentali, al punto che, in alcune multinazionali, si consiglia ai manager di praticare yoga (oppure Zen o Tai Chi) per essere più produttivi! Lo yoga, invece, è un insieme di pratiche fisiche e mentali derivato dall'induismo e poi ereditato da altre fedi nate nel Subcontinente indiano, tipo jainismo, sikhismo e buddismo. Il buddismo, che dà grande importanza alla meditazione, lo ha diffuso anche fuori dall'India, verso la Cina, la Corea, il Sud-Est asiatico e il Giappone

 La parola yoga viene dal sanscrito e in origine voleva dire "giogo" o "aggiogare". Per esempio, c'è un brano nei Rig-Veda, i più antichi testi indù, datati tra XX secolo e il XV secolo a.C., in cui si dice: "aggiogare sé stesso come un cavallo disposto ad obbedire". In testi successivi, le Upanishad, la parola assunse il significato di "unione". Per gli indù, lo scopo dello yoga e, più in generale, di tutta la vita è prendere il controllo del proprio corpo e della propria mente per raggiungere l'unione con il Divino, concepito come il Brahaman, il Sé universale, contrapposto all'Atman, l'io individuale. Tutte i moltissimi dei venerati dagli indù non sono che diverse manifestazioni del Brahaman. Pure il sikhismo, che a differenza dell'induismo è monoteista, considera Dio un'entità impersonale con il quale i singoli esseri vanno a fondersi. I Jaina credono invece che gli umani stessi divengano divini con l'ascesi e l'abnegazione, mentre i buddisti non danno peso alle divinità e cercano il Nirvana, uno stato al di là della gioia e del dolore. In ogni caso, per tutte queste religioni lo yoga serve ad uscire dal Samsara, il ciclo continuo di morti e rinascite per entrare nel Moksha, la liberazione.

In uno dei più importanti libri sacri dell'induismo, la Bahagavad-Gita, il dio Vishnu, assunto l'aspetto umano del cocchiere Krishna, spiega che esistono almeno quattro tipi di yoga:

  • Karma Yoga: la via dell'azione sacralizzata, l'agire disinteressato, compiendo il proprio dovere senza pensare alle conseguenze positive o negative che ciò possa avere. 
  • Jnana Yoga: la via della conoscenza spirituale, il cercare la verità metafisica dell'esistenza dietro le apparenze.
  • Bhakti Yoga: la via della devozione e dell'amore verso una divinità o anche solo verso un maestro spirituale.
  • Dhyana Yoga: generalmente viene intesa come via della "meditazione". In realtà il termine Dhyana in sanscrito si può tradurre anche come "contemplazione", esattamente lo stesso significato del greco Theoria. Si abbatte la divisione tra chi guarda e ciò che viene guardato, come nello Zen.
L'induismo, in aggiunta, riconosce molte altre vie per raggiungere l'unione con il Divino. Addirittura, ci sono stati maestri indù, quali Shri Ramakrishna e Vivekananda, che consideravano ogni religione una via valida. Oggi, forse, le cose sono cambiate con il diffondersi del movimento fondamentalista-nazionalista dell'Hindutva (indianità), il  quale si scaglia ferocemente contro cristiani e musulmani (ma il più famoso monumento dell'India, il Taj Mahal, è stato costruito da un re islamico).

Somiglianze e differenze

La sillaba "Om", usata come Mantra,  è divenuta il simbolo dell'induismo



Immediatamente scopriamo che una differenza tra lo yoga e l'esicasmo è nello scopo. Per un cristiano non ci sono altre vite terrene dopo la morte, ma solo la possibilità di un giudizio di salvezza o condanna. In più, Dio è considerato un essere personale, anzi un essere che si è incarnato in una persona umana, Gesù di Nazareth.

Nonostante ciò, ci sono somiglianze nella pratica: tanto gli yogi che gli esicasti ripetono continuamente una frase che li aiuta a concentrare la loro mente: per i primi è il Mantra, per i secondi la Preghiera di Gesù. Solo che, mentre il Mantra è considerato una frase sacra in sé stessa e, quindi, immodificabile (es. se è in sanscrito non può essere tradotta in altre lingue), la Preghiera di Gesù è sacra per il suo significato e, quindi, può essere abbreviata, allungata o modificata. Anche solo dire "Vieni, Signore" o "Signore, pietà" va bene lo stesso. Non importa neanche che si usi il latino, il greco, l'italiano o qualsiasi altra lingua.

Tuttavia, sia gli yogi, sia gli esicasti cercano di adeguare lo loro respirazione e persino il loro battito cardiaco alla recitazione delle loro invocazioni. Quindi, yoga ed esicasmo hanno in comune l'essere una pratica psico-fisica, ossia che unisce il corpo, la mente e lo spirito. Senza contare che le quattro vie esposte da Krishna nella Bahagavad-Ghita potrebbero essere sottoscritte anche dai praticanti dell'esicasmo.

Io non prendo posizione se sia meglio l'uno o l'altro. Ognuno deve scegliere sulla base della sua personalità e sul percorso che sta seguendo, semplicemente ho voluto fare alcune puntualizzazioni su queste due affascinanti scuole spirituali.

Christian Universalism - a profession of faith (English version)

All the following sentences are not dogmas or revelated Thruths, but only my personal opinions. God is neither male, nor female, but He/She ...