Questa è la classica domanda da un milione di dollari. In genere si pensa che le religioni siano la credenza in una o più divinità, eppure il buddismo e il confucianesimo, per lo meno nella loro forma originaria, non davano importanza all'esistenza degli dei. Ad un discepolo che gli poneva domande su questo argomento, Buddha rispose paragonando tale allievo ad un uomo trafitto da una freccia che, anziché cercare di estrarla, stesse a domandarsi chi l'ha costruita.
Altri potrebbero considerare la religione come la fede in una vita dopo la morte, ma persino gli antichi ebrei, prima dell'avvento del fariseismo, sembravano non avere un'idea precisa su una vita ultraterrena. Ancora al tempo di Gesù, i sadducei, la confessione ebraica a cui appartenevano i sommi sacerdoti, riteneva non ci fosse niente dopo la morte. L'importante era seguire in questa esistenza terrena la Torah, la Legge data da Jahweh a Mosè, per ottenerne una ricompensa immediata in ricchezza, salute, gioia e longevità. Invece, povertà, sofferenza e malattie erano riservati a chi trasgrediva i comandamenti.
Se esaminiamo l'etimologia della parola “religione”, essa viene dal latino religio, che si può tradurre con “rileggere”. In fondo quando si rilegge un testo scritto, lo si approfondisce, ma religio significa anche “raccogliere” una tradizione o ancora “rilegare insieme” qualcosa. Tutti e tre queste accezioni ci dicono qualcosa su cosa sia una religione, però esiste una complicazione: nei testi degli antichi romani si parlava di religio civilis, religione civile. Per noi oggi sarebbe una contraddizione in termini, eppure nell'Antica Roma la devozione agli dei era una delle tante usanze che garantivano la coesione dello Stato. Per questo motivo, in diversi momenti della storia antica gli ebrei e i cristiani venivano visti come dei “sovversivi” da perseguitare. Anzi, erano a volte accusati anche di “ateismo”, perché non credevano agli dei di Roma.
Uscendo dal ristretto ambito della cultura latina, scopriamo che in greco “religione” si dice therapeia, parola da cui deriva il nostro “terapia” e che vuol dire “cura”. In cinese, invece, per designare la religione si usa il termine jiao, “insegnamento” tramandato da un maestro ai suoi discepoli.
Diciamo che tutte queste differenti parole mettono in luce diversi aspetti di un'unica realtà: la religione è quella tradizione che unisce, insegna, spinge a riflettere e ci aiuta a prenderci cura di noi stessi, degli altri, della divinità e del mondo circostante. So che è una definizione un po' lunga, ma a me personalmente sembra l'unica davvero esauriente. Grazie ad essa, inoltre, diventa poco rilevante la distinzione che si di solito tra religione e filosofia. In fondo, soprattutto filosofi greci erano qualcosa di più che semplici insegnanti accademici. Il filosofo era infatti “l'amico della sapienza”, che si occupava di tutta l'esistenza, dallo studio delle leggi naturali a quelle dei rapporti umani, fino alle domande ultime: “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?” Forse non è un caso che il primo scritto che Platone dedica al suo maestro Socrate vede quest'ultimo discutere con un sacerdote sugli dei. Se aggiungiamo che sempre Platone ha infarcito i suoi scritti di narrazioni mitiche (la più famosa è quella su Atlantid) e che Pitagora ha organizzato i suoi seguaci come una setta esoterica a cui si accedeva con un'iniziazione, il confine tra religione e filosofia diventa sempre più sottile.
L'unica vera questione aperta è se serva ancora al giorno d'oggi seguire una religione. Persino molti sacerdoti cattolici citano sempre più spesso la frase del teologo luterano Karl Barth: “Bisogna distinguere la religione dalla fede”. Per fede si intende quello che più comunemente chiamiamo spiritualità, ossia un'esperienza interiore. La religione sarebbe solo il corollario di concetti, riti e istituzioni che circonda la spiritualità, ma che non è indispensabile per essa. Ciò nonostante, milioni di uomini e donne ancora vivono secondo i dettami di una religione. Forse per capire meglio la questione dovremmo partire dalla base: perché le persone credono?
Mi viene in mente il film Dellamorte Dellamore di Michele Soavi, tratto dal libro omonimo di Tiziano Sclavi. Nel finale, il protagonista scopre che, al di fuori del piccolo paesino di provincia in cui vive, non esiste nient'altro, il resto del pianeta è disabitato. Per questo tutta la sua vita e persino il suo grande amore per una donna perdono di significato. Siamo un po' tutti così, circondati da un grande nulla che vorremmo in qualche modo riempire.
Secondo me, il merito delle grandi religione è stato quello di averci dato uomini, come Gesù, Mosè, Buddha, Confucio, Muhammad, eccetera, che hanno cercato di riempire il nulla. Se siano tutti realmente esistiti o meno, se elementi sovrannaturali o miracolosi nelle loro vite siano da prendere alla lettera o da considerare delle metafore, non so dirlo, ma almeno possono darci dei consigli per migliorare noi stessi ed in questo modo cambiare anche la realtà circostante.
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