domenica 20 giugno 2021

Perché Gesù?


I molti volti di Gesù


Iniziamo qui la carrellata dei tre personaggi che io considero miei maestri. Il primo è Gesù il Nazareno o Gesù Cristo, se preferite. Chiariamo subito due questioni: 1) il fatto che non ci siano racconti contemporanei alla vita di Gesù non significa che non sia esistito. In fondo, anche le fonti più antiche sulla vita di Alessandro Magno sono di due secoli dopo la sua morte e, inoltre, sono zeppe di elementi mitici (lui che taglia il nodo gordiano, che doma il cavallo Bucefalo, eccetera). 2) è improbabile che il vero creatore del cristianesimo sia stato Paolo di Tarso (San Paolo per i credenti), visto che anche di quest'ultimo come di Gesù abbiamo informazioni solo tramite le Sacre Scritture e persino le Lettere che gli sono attribuite non è detto che siano opera sua, o per lo meno non tutte e non per intero.

In ogni caso, devo fare presente che le informazioni biografiche su Cristo contengono molte divergenze, poiché a narrarci della sua vita sono differenti Vangeli: Marco è il più breve e forse il più antico; Matteo si rivolge prevalentemente agli ebrei e cerca in ogni modo di dimostrare che Gesù è veramente il Messia annunciato dai profeti; Luca ha un'ottica più sociale e, non a caso, viene citato persino da Charlie Chaplin nel suo capolavoro Il Grande Dittatore; Giovanni è forse il Vangelo più mistico, in cui più degli altri si cerca di sottolineare la divinità del suo protagonista, ma, per contraltare, è anche il Vangelo dell'amicizia che insiste sul rapporto speciale tra Cristo e i discepoli. Oltre a questi che sono i testi canonici, riconosciuti da tutte le Chiese, esistono i Vangeli apocrifi: tra i molti, Il Vangelo di Tommaso, in cui Gesù viene presentato come un asceta in contrasto con ogni forma di religione organizzata (elemento su cui torneremo); i numerosi Vangeli dell'Infanzia che spesso contengono elementi entrati anche nella tradizione popolare, tipo la presenza di un bue e un asino a scaldare col loro fiato Gesù Bambino; esiste persino un Vangelo di Barnaba che è molto apprezzato dagli islamici, siccome, in esso, Gesù nega esplicitamente di essere Figlio di Dio e annuncia la venuta di Maometto.

Dal confronto fra i vari Vangeli, tuttavia, possiamo ricavare anche alcune elementi comuni sulla vita di Gesù: 

  • I  suoi genitori si chiamavano Giuseppe e Maria, ed erano di condizione modesta.
  • Proveniva dal villaggio di Nazareth, in Galilea.
  • In un primo momento, aderì ai seguaci di un predicatore itinerante, Giovanni il Battista.
  • In seguito, si distaccò da Giovanni per intraprendere a sua volta la predicazione.
  • Attorno a lui si formò un gruppo di discepoli.
  • Il suo insegnamento lo portò in contrasto con le autorità religiose ebraiche.
  • Queste ultime lo fecero condannare a morte dai romani per crocifissione.
  • Dopo alcuni giorni dall'esecuzione, la sua tomba venne trovata vuota.
Abbiamo anche informazioni sul suo insegnamento. Semplificando molto, si può dire che Gesù ebbe un forte rapporto personale con Dio, che considerava un Padre buono e amorevole. Questa sua esperienza interiore contrastava però con la constatazione che nel mondo sono presenti il male, la sofferenza, la morte e soprattutto l'ingiustizia. Gesù insegnò quindi che sarebbe venuto un "Regno di Dio" in cui l'umanità sarebbe stata liberata dal male. Questa idea era già presente nella tradizione ebraica a cui il Nazareno apparteneva: ancora oggi gli ebrei attendono più ancora che il Messia (considerato da loro un inviato di Dio ma non Dio a sua volta), l'arrivo di un'Era Messicana nella quale finirà tutto ciò che c'è di negativo nell'esistenza. La novità di Gesù è quella di dire che quest'Era è già arrivata, ma gli uomini e le donne dovevano collaborare con Dio per realizzare già nel presente il Suo Regno. Per lui, non si trattava dunque di una realtà trascendente, situata in chissà quale altra dimensione, come sarà in tanto cristianesimo successivo. 
Sotto questo punto di vista, non è sbagliato considerare Gesù un Messia "politico", stando bene attenti però al fatto che al Nazareno prendere personalmente il potere su questa Terra non interessava, gli bastava indirizzare le persone a vivere come lui un'esperienza trasformante con Dio. Questa trasformazione avrebbe permesso di cambiare il loro modo di vivere e quindi anche la realtà circostante. Infatti, non solo prometteva ai suoi seguaci "lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome" (Giovanni 14,26), ma affermava che essi "faranno cose più grandi di quelle che ho fatto io" (Gv 14,12).
Non entro qui nel merito se le Chiese cristiane siano state o meno all'altezza di quanto Gesù Cristo ha insegnato, poiché sto già pensando ad un post specifico sull'argomento. Invece, voglio soffermarmi su un'altra domanda: qual era il rapporto di Cristo con la religione organizzata? Di sicuro non è solo nell'apocrifo Vangelo di Tommaso che vediamo il Nazareno scontrarsi con le istituzioni religiose ufficiali e le loro regole. Anche nei testi canonici, Gesù compie guarigioni di sabato, infrangendo il riposo assoluto voluto dalla Legge di Mosè, non esita ad incontrarsi con pagani, meretrici e pubblici peccatori, e mangia con loro, divenendo così ritualmente impuro sempre per la Legge mosaica. Inoltre, la vicenda della cacciata dei mercanti dal Tempio di Gerusalemme non è solo un attacco alle speculazioni dei sommi sacerdoti, ma anche un'infrazione di alcune pratiche religiose comuni: i mercanti, in questione, erano infatti cambiavalute e venditori di colombe o, più in generale, di bestiame. I primi erano lì perché i fedeli potevano voler lasciare offerte in denaro, come oggi si fa nelle chiese, ma la moneta romana con il viso dell'imperatore non poteva entrare in un luogo santo  giudaico e doveva venire sostituita con una moneta "sacra", coniata appositamente. I secondi erano invece legati ai sacrifici di animali che si compivano nel Tempio: i ricchi sacrificavano pecore e buoi, i poveri colombe. Eppure, Gesù era per altri versi un ebreo osservante che citava le Sacre Scritture, frequentava le sinagoghe,  partecipava alle varie festività, a chi gli chiedeva come essere salvato, indicava per prima cosa l'osservanza dei comandamenti (Marco 10,17-19). 

Gesù e la samaritana



Secondo me, una possibile spiegazione di questo apparente paradosso si trova nel capitolo quarto del Vangelo di Giovanni, ossia nel dialogo tra Gesù e una donna samaritana. I samaritani erano considerati degli ebrei eretici, essenzialmente perché seguivano una forma più arcaica della religione israelitica: non riconoscevano il Tempio di Gerusalemme, perché i patriarchi non avevano un tempio stabile, ma offrivano i loro sacrifici su altari di pietra realizzati in cima ai montagne (i samaritani avranno per un certo periodo un loro Tempio sul monte Garizim); accettavano come unico testo sacro la Torah, ovvero i primi cinque libri della Bibbia; venivano per giunta accusati di adorare altri cinque dei oltre al Dio d'Israele. Quest'ultima accusa sembra infondata, però forse ne rimane traccia anche nel brano evangelico qui trattato, visto che Gesù dice alla donna "Hai avuto cinque mariti e quello con cui vivi ora non è tuo marito". In ogni caso, la fede in un Dio unico era arrivata tra gli ebrei molto più tardi di quanto immaginiamo, quindi può darsi che persino in questo i samaritani fossero più fedeli ai patriarchi degli altri israeliti.
Ad un certo punto, la donna chiede a Gesù se bisogna adorare Dio a Gerusalemme, come facevano i giudei, o sul Garizim, come è abitudine dei samaritani. Gesù le risponde che "La salvezza viene dai giudei", ma verrà un giorno in cui "né su questo monte, né a Gerusalemme si adorerà Dio. Dio è Spirito e va adorato in Spirito e Verità". In pratica, Gesù riconosce una sua affiliazione alla fede della maggior parte degli ebrei, fossero essi sadducei, farisei, zeloti o altro. Allo stesso tempo, però, superava questa divisione confessionale tra loro e i samaritani, dicendo che Dio è Spirito, quindi qualcosa di oltre tutte le definizioni possibili.  Può darsi che anche i contrasti avuti con i farisei si riconducono a questo: i farisei, infatti, erano coloro che riconoscevano le scritture profetiche e quindi credevano in cose come il Messia, il giudizio dopo la morte e la Resurrezione della carne. Anche Gesù predicava tutto questo, eppure il Nazareno polemizzava continuamente con i farisei, perché a questi ultimi mancava forse una visione apofatica (cioè non concettuale) di Dio, volendo invece imprigionarLo nelle loro regole, riti e concetti. Sotto questo punto di vista, mi riconosco pienamente nell'insegnamento di Gesù Cristo e non esito a definirmi cristiano.

Crocifissione "cosmica" di Salvador Dalì


lunedì 14 giugno 2021

I miei maestri

 





Sto leggendo in questi giorni il libro I Quattro Maestri di Vito Mancuso, che spero presto di recensire. L'autore, un teologo laico, esamina le vite e il pensiero di quelli che, riprendendo la tesi del filosofo tedesco, Karl Jaspers, considera i quattro personaggi più importanti nel progresso spirituale dell'umanità: Socrate, Buddha, Confucio e Gesù. 

Io, molto più umilmente, voglio dedicare nei prossimi giorni dei post a coloro che considero i miei maestri: Gesù, il profeta Muhammad (o Mohamed o Maometto) e il Guru Nanak Dev. La scelta è stata fatta sulla base dell'influsso che hanno avuto su di me le scuole di pensiero nate da loro: rispettivamente cristianesimo, Islam e sikhismo. Per comprenderli meglio dovrò approfondire anche le religioni precedenti che li hanno ispirati: l'ebraismo per Gesù e Muhammad, e l'induismo per Nanak Dev.

Beninteso, non sto dicendo che queste fedi siano superiori alle altre, ma che si tratta di quelle che io conosco meglio e con le quali mi sembra di aver più affinità. In fondo, ogni persona o gruppo di persone per compire un cammino spirituale ha bisogno di partire da una religione o da una filosofia che faccia loro da trampolino di lancio. Il vero limite è quando la religione o la filosofia in questione diviene il fine ultimo al posto dell'incontro con il Divino, i fratelli, la natura ed anche con il nostro vero sé. In questo modo nascono il fondamentalismo, il moralismo, il formalismo e altre aberrazioni della spiritualità. Per lo meno, questa è la mia contestabilissima opinione a riguardo.

sabato 12 giugno 2021

Tra Lenin e Tolstoj


 



 


Lenin, il rivoluzionario russo, aveva una grande ammirazione per Lev Tolstoj, l'autore di Guerra e Pace e Anna Karenina, tuttavia era critico sulle posizioni cristiano-spirituali dello scrittore. Il politico, ironicamente, scriveva che per lui il pensiero di Tolstoj fosse: "In passato sono stato cattivo, però ora mi sto dedicato all'auto-perfezionamento. Infatti, non mangio più carne ma solo polpette di riso". In pratica, secondo Lenin, Tolstoj non stava facendo niente per il popolo.

Tale critica, nel caso specifico dello scrittore russo, mi pare esagerata: questi, nato nobile, si era dato concretamente da fare per l'emancipazione dei contadini dalla servitù della gleba (abolita solo sulla carta dallo zar Alessandro). D'altro canto, esiste un limite che riguarda molte persone che seguono una religione organizzata o che (come Tolstoj, il quale era critico con la Chiesa Ortodossa ufficiale), seguono comunque un percorso interiore:  ci si occupa solo di sé stessi, si prega, si medita, si fa penitenza, magari si decide di non consumare più alcuni cibi o alcune bevande, ma tutto questo lo si compie solo per sentirsi più santi o più illuminati. In un simile percorso manca il rapporto con l'altro e tutto si riduce ad una sorta di narcisismo spirituale.

Il filosofo ebreo austriaco, Martin Buber, nel suo splendido libro Il Cammino dell'Uomo, spiegava che il primo materiale su cui tutti dobbiamo lavorare siamo proprio noi stessi, per questo la spiritualità e, in alcuni casi, persino l'ascesi e l'auto-privazione  sono passi necessari. Sempre Buber faceva però presente che lo scopo di tutto questo è quello di aprirsi agli altri, di donarsi al prossimo, altrimenti  saremmo solo degli egoisti tra i tanti che al mondo e alla società non portano alcun beneficio. Questo è il cammino che io per primo, seppure con tutti i miei limiti e le mie contraddizioni, cerco umilmente di percorrere: costruire me stesso per poi donarmi all'altro.

mercoledì 9 giugno 2021

Che cos'è l'apofatismo?

 




Timothy Radcliffe con una giovane musulmana

Laurence Freeman, benedettino e maestro di meditazione

Olivier Clément, teologo protagonista del dialogo ecumenico




Il termine "apofatico" in greco significa "lontano dal dire", nel senso di qualcosa lontano dalle parole e dei concetti in cui noi cerchiamo continuamente di ingabbiare la realtà. Sfortunatamente per noi, la vita è sempre più vasta e mutevole rispetto a tutte le nostre filosofie e ideologie.

Per capire il ruolo dell'apofatismo nella ricerca spirituale, bisogna comprendere che esistono almeno quattro gradi della teologia:

  1.  il primo è quasi una premessa, cioè  il rendersi conto che da qualche parte esiste qualcosa di "altro" rispetto a noi. Possiamo chiamarlo trascendenza o Divinità o in altri modi, ma esiste; 
  2.  la teologia affermativa o "catafatica" che cerca di comprendere Dio elaborando concetti su di esso, studiando le Scritture e formulando dogmi ( Dio è questo, è quello). La situazione è simile a quella di un uomo che con le sue forze cerca di scalare una montagna.
  3. la teologia negativa o, appunto, apofatica, che parla della Divinità attraverso negazioni (non è questo, non è quello). L'uomo del nostro esempio è arrivato in cima alla montagna, ma si è accorto che il Divino non è lì.
  4. la teologia mistica, in cui è la Divinità stessa che viene incontro all'uomo. A questo ultimo passo molti non crederanno oppure penseranno possa accadere solo dopo questa vita. Eppure, tante persone, credenti e non, che hanno sperimentato una vicinanza incredibile con il trascendente. Solo che si tratta di episodi sporadici e di breve durata. La speranza dei mistici è quella di riuscire a rendere costante questo stato.
Mi auguro di non apparire troppo presuntuoso, se dico che mi sembra di aver già attraversato i primi due gradi e di trovarmi ora al terzo, sebbene la via spirituale non sia mai lineare e magari potrei trovarmi a dover retrocedere.
In ogni caso, ho deciso di condividere con voi i miei pensieri e le mie esperienze. Premetto che non si tratta di dogmi, ma solo di mie congetture che potrebbero anche essere sbagliate.
Posso dire di essere nato da madre credente e padre ateo. Io mi sono sempre sentito cristiano, ma capivo poco la mia religione: ho attraversato periodi di fondamentalismo, nei quali mi scagliavo contro chi non credeva, ed altri di disgusto in cui mi sentivo estraneo alla comunità dei fedeli. A riuscire a trovare un certo equilibro sono state diverse letture: il domenicano inglese Timothy Radcliffe che mi ha insegnato il significato vero di alcune verità di fede che recitavo nel Credo senza capire. Poi, i benedettini anche loro anglosassoni, John Main e Laurence Freeman, i quali mi hanno fatto scoprire che anche i seguaci di Gesù possono apprendere delle spiritualità delle altre religioni. Infine, Olivier Clément, un accademico e scrittore francese convertito alla Chiesa Ortodossa, che mi ha fatto scoprire quella forma di meditazione profonda, chiamata esicasmo, di chi spero di poter parlare diffusamente in futuro.
Tutto questo ha fatto però parte della parte catafatica del mio cammino, che ora considero conclusa.
Certamente, non tutti condivideranno la strada che ho percorso fin qui. In fondo,  un paio di scarpe possono essere belle o brutte, vecchie o nuove, da sera o da tennis, mocassini o sandali, però si possono indossare solo quando sono della propria taglia.





domenica 6 giugno 2021

Preghiera pagana e socratica


 


O caro Pan, e voi tutti altri dei presenti in questo luogo, concedetemi di diventare bello dentro e che tutto ciò che ho di fuori sia in accordo con quello che ho dentro [...] che io possa considerare ricco il sapiente e che io possa avere una quantità di oro quale nessun altro potrebbe né prendersi, né portare via, se non il temperante.

 (Preghiera attribuita a Socrate)

venerdì 4 giugno 2021

"La non-violenza, una storia fuori dal mito" di Domenico Losurdo



 Spesso si attribuisce alle persone credenti la colpa di avere una visione troppo idealizzata della realtà e della storia. Per evitare di cadere in questo errore consiglio a tutti di leggere il saggio La non-violenza, una storia fuori dal mito, scritto dal filosofo e storico Domenico Losurdo. Questi era un convinto marxista, quindi alcuni potrebbero non gradire le sue idee. In ogni caso, assicuro che l'analisi di quei movimenti che, negli ultimi due secoli, si sono rifatti al concetto di non-violenza, è molto rigoroso ed assennato.

Lo scopo del libro non è, come molti hanno creduto, denigrare pacifismo ed esaltare l'azione rivoluzionaria e/o guerresca. Anzi, l'autore inizia il suo saggio proprio dicendo che, in un mondo in cui esistono armi di sterminio di massa, è una necessità trovare un percorso alternativo alla guerra per risolvere le controversie tra le nazioni.

Losurdo mette in risalto che, spesso, anche le persone con i più alti ideali devono scontrarsi con la realtà e, magari, la scelta tra violenza e non-violenze non risulta così semplice ed immediata. Per esempio, quei protestanti quaccheri e mennoniti che, nell'Ottocento, condannavano come anti-evangelica tanto la schiavitù, quanto la guerra, poi si sono trovati a dover sostenere l'azione armata del Nord contro il Sud, quando è stato chiaro che quest'ultimo non avrebbe mai accettato l'abolizione dello schiavismo. Una situazione simile è avvenuta in Russia durante la Grande Guerra: si doveva scegliere se continuare un conflitto interminabile e sanguinosissimo agli ordine dello Zar o ribellarsi contro il sovrano.

Ci sono certi passaggi che scardinano luoghi comuni su personaggi, come Gandhi o il Dalai Lama. Il primo arrivò all'idea di resistenza passiva, come pure all'idea di uguaglianza tra tutti i popoli, solo dopo un lungo percorso, ed ha spesso simpatizzato con chi si opponeva come lui all'Inghilterra (Mussolini, il Giappone e Stalin); il secondo è un Premio Nobel per la Pace che, però, ha sostenuto guerre contro il Vietnam e il Laos in nome dell'anticomunismo. Nello studio di Losurdo, appaiono forse più coerenti Martin Luther King, Danilo Dolci e Aldo Capitini.  

Tuttavia, anche e soprattutto per chi vuole vivere in maniera nonviolenta, vale la pena fare conto con il proprio passato per agire giustamente nel presente. In fondo, anche la Chiesa cattolica, oggi, riconosce di aver sbagliato a combattere le Crociate e ad aver creato l'Inquisizione.



giovedì 3 giugno 2021

L'Imam Alì riguardo alla Verità

 

Quando i seguaci della Verità restano tranquilli davanti alle falsità, i seguaci della falsità cominciano a credere che siano nel vero.

(Imam Alì Ibn Abu Talib, cugino e genero di Maometto)

martedì 1 giugno 2021

Che cos'è una religione?




Questa è la classica domanda da un milione di dollari. In genere si pensa che le religioni siano la credenza in una o più divinità, eppure il buddismo e il confucianesimo, per lo meno nella loro forma originaria, non davano importanza all'esistenza degli dei. Ad un discepolo che gli poneva domande su questo argomento, Buddha rispose paragonando tale allievo ad un uomo trafitto da una freccia che, anziché cercare di estrarla, stesse a domandarsi chi l'ha costruita.

Altri potrebbero considerare la religione come la fede in una vita dopo la morte, ma persino gli antichi ebrei, prima dell'avvento del fariseismo, sembravano non avere un'idea precisa su una vita ultraterrena. Ancora al tempo di Gesù, i sadducei, la confessione ebraica a cui appartenevano i sommi sacerdoti, riteneva non ci fosse niente dopo la morte. L'importante era seguire in questa esistenza terrena la Torah, la Legge data da Jahweh a Mosè, per ottenerne una ricompensa immediata in ricchezza, salute, gioia e longevità. Invece, povertà, sofferenza e malattie erano riservati a chi trasgrediva i comandamenti.

Se esaminiamo l'etimologia della parola “religione”, essa viene dal latino religio, che si può tradurre con “rileggere”. In fondo quando si rilegge un testo scritto, lo si approfondisce, ma religio significa anche “raccogliere” una tradizione o ancora “rilegare insieme” qualcosa. Tutti e tre queste accezioni ci dicono qualcosa su cosa sia una religione, però esiste una complicazione: nei testi degli antichi romani si parlava di religio civilis, religione civile. Per noi oggi sarebbe una contraddizione in termini, eppure nell'Antica Roma la devozione agli dei era una delle tante usanze che garantivano la coesione dello Stato. Per questo motivo, in diversi momenti della storia antica gli ebrei e i cristiani venivano visti come dei “sovversivi” da perseguitare. Anzi, erano a volte accusati anche di “ateismo”, perché non credevano agli dei di Roma.

Uscendo dal ristretto ambito della cultura latina, scopriamo che in greco “religione” si dice therapeia, parola da cui deriva il nostro “terapia” e che vuol dire “cura”. In cinese, invece, per designare la religione si usa il termine jiao, “insegnamento” tramandato da un maestro ai suoi discepoli.

Diciamo che tutte queste differenti parole mettono in luce diversi aspetti di un'unica realtà: la religione è quella tradizione che unisce, insegna, spinge a riflettere e ci aiuta a prenderci cura di noi stessi, degli altri, della divinità e del mondo circostante. So che è una definizione un po' lunga, ma a me personalmente sembra l'unica davvero esauriente. Grazie ad essa, inoltre, diventa poco rilevante la distinzione che si di solito tra religione e filosofia. In fondo, soprattutto filosofi greci erano qualcosa di più che semplici insegnanti accademici. Il filosofo era infatti “l'amico della sapienza”, che si occupava di tutta l'esistenza, dallo studio delle leggi naturali a quelle dei rapporti umani, fino alle domande ultime: “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?” Forse non è un caso che il primo scritto che Platone dedica al suo maestro Socrate vede quest'ultimo discutere con un sacerdote sugli dei. Se aggiungiamo che sempre Platone ha infarcito i suoi scritti di narrazioni mitiche (la più famosa è quella su Atlantid) e che Pitagora ha organizzato i suoi seguaci come una setta esoterica a cui si accedeva con un'iniziazione, il confine tra religione e filosofia diventa sempre più sottile.

L'unica vera questione aperta è se serva ancora al giorno d'oggi seguire una religione. Persino molti sacerdoti cattolici citano sempre più spesso la frase del teologo luterano Karl Barth: “Bisogna distinguere la religione dalla fede”. Per fede si intende quello che più comunemente chiamiamo spiritualità, ossia un'esperienza interiore. La religione sarebbe solo il corollario di concetti, riti e istituzioni che circonda la spiritualità, ma che non è indispensabile per essa. Ciò nonostante, milioni di uomini e donne ancora vivono secondo i dettami di una religione. Forse per capire meglio la questione dovremmo partire dalla base: perché le persone credono?

Mi viene in mente il film Dellamorte Dellamore di Michele Soavi, tratto dal libro omonimo di Tiziano Sclavi. Nel finale, il protagonista scopre che, al di fuori del piccolo paesino di provincia in cui vive, non esiste nient'altro, il resto del pianeta è disabitato. Per questo tutta la sua vita e persino il suo grande amore per una donna perdono di significato. Siamo un po' tutti così, circondati da un grande nulla che vorremmo in qualche modo riempire.


Secondo me, il merito delle grandi religione è stato quello di averci dato uomini, come Gesù, Mosè, Buddha, Confucio, Muhammad, eccetera, che hanno cercato di riempire il nulla. Se siano tutti realmente esistiti o meno, se elementi sovrannaturali o miracolosi nelle loro vite siano da prendere alla lettera o da considerare delle metafore, non so dirlo, ma almeno possono darci dei consigli per migliorare noi stessi ed in questo modo cambiare anche la realtà circostante.





Christian Universalism - a profession of faith (English version)

All the following sentences are not dogmas or revelated Thruths, but only my personal opinions. God is neither male, nor female, but He/She ...