Lenin, il rivoluzionario russo, aveva una grande ammirazione per Lev Tolstoj, l'autore di Guerra e Pace e Anna Karenina, tuttavia era critico sulle posizioni cristiano-spirituali dello scrittore. Il politico, ironicamente, scriveva che per lui il pensiero di Tolstoj fosse: "In passato sono stato cattivo, però ora mi sto dedicato all'auto-perfezionamento. Infatti, non mangio più carne ma solo polpette di riso". In pratica, secondo Lenin, Tolstoj non stava facendo niente per il popolo.
Tale critica, nel caso specifico dello scrittore russo, mi pare esagerata: questi, nato nobile, si era dato concretamente da fare per l'emancipazione dei contadini dalla servitù della gleba (abolita solo sulla carta dallo zar Alessandro). D'altro canto, esiste un limite che riguarda molte persone che seguono una religione organizzata o che (come Tolstoj, il quale era critico con la Chiesa Ortodossa ufficiale), seguono comunque un percorso interiore: ci si occupa solo di sé stessi, si prega, si medita, si fa penitenza, magari si decide di non consumare più alcuni cibi o alcune bevande, ma tutto questo lo si compie solo per sentirsi più santi o più illuminati. In un simile percorso manca il rapporto con l'altro e tutto si riduce ad una sorta di narcisismo spirituale.
Il filosofo ebreo austriaco, Martin Buber, nel suo splendido libro Il Cammino dell'Uomo, spiegava che il primo materiale su cui tutti dobbiamo lavorare siamo proprio noi stessi, per questo la spiritualità e, in alcuni casi, persino l'ascesi e l'auto-privazione sono passi necessari. Sempre Buber faceva però presente che lo scopo di tutto questo è quello di aprirsi agli altri, di donarsi al prossimo, altrimenti saremmo solo degli egoisti tra i tanti che al mondo e alla società non portano alcun beneficio. Questo è il cammino che io per primo, seppure con tutti i miei limiti e le mie contraddizioni, cerco umilmente di percorrere: costruire me stesso per poi donarmi all'altro.
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