mercoledì 28 luglio 2021

"I Quattro Maestri" di Vito Mancuso [recensione]


 

Vito Mancuso è un teologo laico, sposato e con figli, che è divenuto noto al grande pubblico grazie al successo del suo libro L'Anima e il Suo Destino, pubblica nel 2007 da Raffaello Cortina. Si tratta quasi di mio compaesano, visto che è nato a Carate Brianza, mentre io sono di Giussano e vivo da sempre a Verano Brianza. Mancuso si definisce un post-cristiano, che è critico con le Chiese cristiane, di cui non riconosce alcuni dogmi, ma ne accoglie altri insegnamenti, come spiega eloquentemente sul suo  sito. Io, all'opposto, mi considero un neo-cristiano che vuole una riforma della sua religione, abbandonando le divisioni tra le diverse Chiese ed accogliendo pure insegnamenti nuovi dalle altre fedi e filosofie. 

Tornando a Mancuso, nel suo libro I Quattro Maestri, riprende una tesi del filosofo tedesco Karl Jaspers, secondo la quale i quattro uomini che hanno segnato maggiormente il pensiero umano sono stati Socrate, Buddha, Confucio e Gesù. Il teologo li esamina uno ad uno, mettendo in risalto qual era il nocciolo del loro pensiero e cosa possono ancora insegnare agli uomini e le donne di oggi:

  • Socrate è stato un educatore che insegnava alle persone a formarsi una coscienza morale;
  • Buddha un medico che cercava di curare il dolore;
  • Confucio un politico che voleva creare una società ordinata e solidale;
  • Gesù un profeta che annunciava un Regno di Dio destinato a cambiare il mondo.

Argutamente, Mancuso fa notare come gli occidentali contemporanei non vogliano maestri, eppure tutti noi abbiamo avuto degli "istruttori" che ci hanno insegnato a leggere, scrivere, fare i calcoli, guidare la macchina, svolgere un lavoro e tante altre cose. Non accettiamo però che qualcuno ci insegni a vivere. La cosa  in sé non sarebbe nemmeno sbagliata, perché ognuno dovrebbe col tempo imparare ad essere il maestro di sé stesso, come sostenevano gli illuministi. Per Mancuso, comunque, prima di arrivare a questo, è giusto avere dei maestri, ma molteplici e non permanenti. In pratica, non bisogna per forza seguire tutta la vita il maestro, senza emanciparsene mai, anche perché il vero maestro è chi ti insegna ad essere autonomo. Inoltre, in diversi momenti dell'esistenza si può avere bisogno di diversi maestri. Ognuno deve capire di quale maestro ha bisogno lui personalmente in quel particolare passaggio della propria esistenza. 

Per spiegare questo, l'autore riporta un racconto della tradizione cinese, che potrebbe forse far sorridere: Confucio, Buddha e Lao-Tse (il fondatore del taoismo) intingono tutti e tre un dito in una botte piena di aceto e ne assaggiano il contenuto. Confucio lo trova aspro, Buddha amaro e Lao-Tse dolce. Chi ha scritto questa storiella era probabilmente un taoista che voleva dimostrare la superiorità della sua scuola di pensiero sulle altre, tuttavia il racconto ci pone una domanda: che sapore ha per noi la vita? Se la vita è aspra siamo in sintonia con Confucio, quindi è lui il maestro che fa per noi; se è amara, ci serve Buddha e, se è dolce, Lao-Tse.

Vito Mancuso


Posso dirmi d'accordo su tutto questo, ma ci sono anche alcuni elementi nel saggio del teologo che non condivido: 

  • Innanzitutto, quando parla di Gesù, Mancuso dà una lettura dei Vangeli soprattutto di tipo storico-letterario, mentre io ho sempre preferito quella allegorica. l'autore entra infatti in un vicolo cieco: cerca di distinguere il Gesù storico dal Cristo insegnato dalle Chiese, però deve poi riconoscere che questo è impossibile, perché i Vangeli e tutto il Nuovo Testamento sono opera di autori che volevano dimostrare che Gesù é Cristo. Inoltre, anche se non è trattato specificamente in questo libro, esiste un problema che i Vangeli pongono ai lettori contemporanei: l'evento chiamato Resurrezione. Se Gesù è risorto, bisogna considerarlo superiore ad ogni altro maestro, anzi ad ogni altro uomo. Se non lo è, pur restando un grande saggio, i suoi discepoli sono stati degli impostori. Secondo me, non dobbiamo intendere la Resurrezione come la vicenda di un cadavere che esce dalla tomba, altrimenti si tratterebbe di una sorta di racconto horror, simile a quelli degli zombi di George Romero o del Conte Dracula. Dovremmo, invece, esaminare quello che dicono molti teologi e mistici della Chiesa ortodossa, ossia che la Resurrezione è anche Theosis, divinizzazione. In questo caso, può diventare accettabile persino per noi oggi.
  • Mancuso, come anche Jaspers, ammetteva che esiste un quinto uomo che ha influito sulla storia umana, quanto Gesù, Buddha, Confucio e Socrate. Si tratta di Maometto, ma entrambi lo sottovalutano, considerandolo semplicemente un rielaboratore di ebraismo e cristianesimo. Peggio, Mancuso ritiene che il Profeta dell'Islam, avendo fondato delle istituzioni religiose e politiche, sia stato l'opposto dei profeti biblici che erano persone contrapposte alle istituzioni. Muhammad fu invece un legislatore ispirato che cercò di creare una civiltà più giusta in Arabia, un po' come aveva tentato di fare Confucio in Cina. In aggiunta, fu molto più inclusivo di quanto non si creda: per lui non solo cristiani ed ebrei, ma anche zoroastriani e gnostici erano ispirati da Dio, e persino nella religione politeista degli arabi pre-islamici c'era qualcosa da salvare, come spiego in questo mio articolo 
  • Il teologo, infine, condivide quella sorta di vulgata ideologica per cui comunismo e nazifascismo sarebbero la stessa cosa. Pur riconoscendo tragedie come i gulag sovietici o le stragi della Cambogia di Pol-Pot, non me la sento di condannare in blocco il marxismo. In primis, perché vedo che chi nel mondo si batte per cose come la giustizia sociale, l'anticolonialismo e l'antifascismo, in genere, si definisce ancora oggi comunista. Mi ha molto commosso la frase di Alekseij Markov, il comandante di una brigata di partigiani russi del Donbass in lotta contro il governo neonazista ucraino, che diceva riguardo ai suoi nemici "Possono odiarci, ma noi non possiamo, perché sono nostri fratelli". In secundis, anche il liberalismo si sta dimostrando sempre più una forma di totalitarismo. L'Occidente liberale, che al suo interno sostiene (giustamente) le liberà individuali, nel resto del mondo con le sue guerre coloniali ha causato tra i cinquanta e i cinquantacinque milioni di morti, solo negli ultimi settant'anni [cfr. Noam Chomsky e Andre Vltchek Terrorismo Occidentale]. Se a questo dovessimo aggiungere le vittime "indirette" dovute alla fame e alla povertà, le cifre eguagliano quelle della Germania nazista e della Russia stalinista.
  • Mancuso ripete a più riprese che la caratteristica fondamentale di Dio non sia la bontà, bensì la giustizia. Non è il primo pensatore eminente da cui sento questo discorso. In fondo, Buddha parlava di Karma, Socrate metteva al primo posto la giustizia ("meglio subire un'ingiustizia che commetterla" diceva), Confucio applicava una forma di legge del taglione, ed anche Gesù insegnava a pregare il Padre con le parole: "Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori". Quindi, per Lui, può essere perdonato solo chi, a sua volta, perdona. Nonostante tutto questo, io non riesco a fare a meno di pensare a Isacco di Ninive, un santo cristiano arabo, il quale insegnava che "Tutti gli uomini buoni e cattivi sono racchiusi entro i confini dell'amore di Dio" e ancora che l'Onnipotente è sempre in cerca di uno "stratagemma" per salvare gli uomini. Forse, la vera spiegazione è che solo Dio conosce il vero equilibrio tra giustizia e misericordia.
In conclusione, voglio fare mia una triste constatazione di Mancuso, cioè che, in questo momento, l'unico vero maestro dell'Occidente sembra essere Friedrich Nietsche, il filosofo tedesco che voleva vivere "al di là del bene e del male" e che metteva sopra ogni cosa la "volontà di potenza". Probabilmente, in pochi hanno letto le sue opere, ma temo che tutti possano riconoscersi nel discorso finale di Alberto Sordi nel film Finché c'è Guerra c'è Speranza "Anche le persone come voi, le famiglie come la vostra, che vogliono, vogliono e non si accontentano mai: le ville, le macchine, le moto, le feste, il cavallo, gli anellini, i braccialetti, le pellicce e tutti i cazzi che ve se fregano, costano molto! E per procurarseli, qualcuno bisogna depredare, ecco perché si fanno le guerre!” In pratica, tutto è lecito per arrivare ai propri scopi, non importa con che mezzi. La morale, che i quattro maestri (e molti altri grandi uomini) ci avevano insegnato, è divenuta irrilevante. In pratica, l'unica legge è un continuo mors tua vita mea, e non solo per i singoli individui: persino le istituzioni seguono un principio opportunistico, al punto che anche le religioni e le ideologie politiche vengono usate solo come un mezzo per l'avanzamento personale. Gli effetti sono molteplici: dallo sfacelo nei rapporti interpersonali alla sparizione del welfare, dal divario sempre più grande tra ricchi e poveri all'esaurimento delle risorse del nostro pianeta. Qualora non ci sia una conversione che riporti  al centro l'etica, il destino dell'umanità pare tragico, però una conversione può iniziare solo dall'esperienza interiore dei singoli.


sabato 24 luglio 2021

L'esicasmo è lo yoga cristiano?

L'esicasta Isacco di Ninive



Ultimamente capita spesso di leggere articoli in rete che parlano dell'esicasmo come di una forma di yoga o di meditazione trascendentale. Il primo a scrivere un saggio dal titolo Esicasmo: Yoga Cristiano fu Anthony Bloom, un vescovo ortodosso russo espatriato in Occidente (il suo nome di battesimo era Andrej Borisovic Blum) e potete leggerlo a questo link

La preghiera esicasta, infatti, è parte della spiritualità delle Chiese cristiane ortodosse, ed è presente sia tra quelle di tradizione duofisita (i greci e gli slavi), che riconoscono l'umanità e la divinità di Cristo come due nature distinte, sia tra quelle miafisite (i copti, i siriaci e gli armeni) che le considerano un'unica natura. Persino la Chiesa assira d'Oriente, che è separata da entrambi i rami dell'ortodossia, ha una sua tradizione di esicasmo, incarnata dal mistico medievale Isacco di Ninive, venerato da tutti gli ortodossi col nome di Sant'Isacco il Siro.

 In Occidente, l'esicasmo ha cominciato ad essere conosciuto solo nel secondo Dopoguerra, in parte tramite quei religiosi ortodossi che fuggivano dal comunismo, come il sopracitato Bloom, in parte grazie a occidentali convertiti, per esempio Olivier Clément in Francia e Kallistos Ware in Inghilterra. In questo modo, la preghiera esicasta è divenuta trasversale a tutte le Chiese cristiane, tanto che  anche l'anglicano Rowan Williams, arcivescovo emerito di Canterbury, la pratica, così pure il cattolico Enzo Bianchi, fondatore del Monastero di Bose.

Cos'è l'esicasmo?

San Gregorio Palamas


Il termine "esicasmo" viene dal greco Esichia, che significa silenzio o quiete. Molti esicasti ritengono che la loro pratica, legata alla ripetizione di una breve invocazione contenente il nome di Gesù, sia stata insegnata da Cristo stesso ai suoi Apostoli. Nei Vangeli, però, non c'è traccia di questo evento. L'unica preghiera insegnata da Gesù sarebbe il Padre Nostro, tuttavia Cristo dice ugualmente cose importanti su come si prega. In primis che non bisogna "sprecare parole come i pagani" (Matteo 6,7) e subito dopo: "Tu, invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà" (Matteo 6,6). Da notare che, a quei tempi, ben pochi potevano avere una stanza tutta per loro. La stanza in cui chiudersi per adorare Dio sarebbe dunque quella interiore, il proprio cuore, nel quale gli antichi vedevano non tanto la sede dei sentimenti, quanto il centro di tutta la persona. Se a ciò aggiungiamo la frase di San Paolo "Occorre pregare sempre", si capisce la necessità per i cristiani di elaborare un metodo per mantenersi sempre in uno stato di preghiera interiore.

L'esicasmo nasce così attorno al IV secolo d.C. tra i Padri e le Madri del Deserto, ossia i primi monaci e monache cristiani, presenti tra Egitto, Siria e Palestina. In particolare, il metodo va definendosi nel Sinai, dove vengono redatti alcuni grandi testi spirituali, quale La Scala del Paradiso (o Scala delle Virtù) di San Giovanni Climaco, molto conosciuta e stimata pure dai cattolici romani. In seguito, l'esicasmo raggiunge il Monte Athos, in Grecia, forse anche grazie all'arrivo lì di San Gregorio il Sinaita dall'Egitto. Qui viene elaborata la cosiddetta Preghiera di Gesù, "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore" che va a sostituire l'invocazione usata dai Padri del Deserto, "Vieni, Signore, in mio aiuto. Vieni presto in mio aiuto".  

Nel XIV secolo scoppia una controversia contro gli esicasti a causa di un filosofo, Barlaam il Calabro (che oggi sarebbe considerato un italiano). Non sono giunti a noi scritti di questo autore, ma sembra accusasse i monaci del Monte Athos di non venerare veramente Dio ma solo il loro ombelico! Per Barlaam, a quanto sembra, era impossibile entrare in contatto diretto con Dio, tutt'al più si poteva discutere di lui in ambito filosofico-dottrinale. A difesa degli esicasti scrisse invece San Gregorio Palamas, che dette un'inquadramento teologico all'esicasmo: Palamas distinse tra l'essenza di Dio, che resta inconoscibile alle sue creature, e le energie divine, che, invece, compenetrano la natura creata, umanità compresa. Proprio le energie di Dio possono essere percepite dagli esseri umani mediante l'ascesi e la preghiera. La Chiesa ortodossa fece propria la dottrina di Palamas e l'esicasmo si diffuse nei paesi slavi, in cui l'ortodossia si era diffusa. 

Un altro passaggio importante fu la pubblicazione a Venezia nel 1782 della Filocalia (in greco "amore per la bellezza"), una raccolta di testi di tutti i grandi esicasti, redatta dal monaco Nicodemo dell'Athos e dal vescovo Macario di Corinto. Questa antologia conobbe poi altre edizioni in slavone, russo e rumeno, dove spesso si toglievano alcuni scritti o se ne aggiungevano di nuovi. In ogni caso gli esicasti potevano contare su un'esaustiva guida per il loro percorso spirituale, il quale si articolava in tre tappe:

  1. Praxis (la pratica): con l'aiuto della Preghiera di Gesù il mistico cerca di spegnere quelle passioni negative come l'avidità, la superbia, la lussuria, l'ira, ma anche la paura, la tristezza, l'ossessione per la morte, la quale in parte spaventa ed in parte attrae.
  2. Theoria Physiche (la contemplazione della natura): l'esicasta comincia a riconoscere le energie divine nel mondo circostante, umano e naturale. Si potrebbe paragonare tale tappa allo stato in cui San Francesco, in Occidente, componeva il Cantico delle Creature, oppure alla leggenda dal sapore Zen in cui un monaco, osservando la neve che cadeva, "comprese la neve".
  3. Theoria vera e propria (contemplazione di Dio), : non è chiaro se l'esicasta raggiunga questo stato durante la vita terrena o dopo la morte. L'asceta è completamente travolto dalla visione beatifica di Dio. Da alcuni la Theoria è detta anche Theosis (divinizzazione), ma non tutti concordano se il termine vada preso alla lettera, con l'uomo che diventa Dio, o in senso metaforico, ossia l'uomo è semplicemente reso simile a Dio, poiché partecipe della Sua grazia.

L'esicasmo non è una conoscenza esoterica da tenere nascosta alla masse, ma è ugualmente un percorso ascetico che, forse non tutti sono in grado di seguire. Gli esicasti affiancano la Preghiera di Gesù con l'osservanza dei comandamenti, la partecipazione all'Eucarestia e agli altri sacramenti, la lettura delle Scritture, la penitenza, i digiuni, le vegli notturne e le opere di carità. Ad ogni modo, chiunque può provare a recitare la Preghiera di Gesù, cercando di regolarla sul proprio respiro e concentrando la mente solo su di essa, lasciando defluire tutti gli altri pensieri. Ciò conduce col tempo ad un senso di pace interiore e, magari, fare quell'esperienza di meditazione profonda, chiamata "preghiera del cuore".


Cos'è lo yoga?

Nella Bahagvad-Ghita, il divino Krishna dà alcune spiegazioni sullo yoga


Diciamo subito che lo yoga è qualcosa di molto più complesso di una semplice ginnastica. Non è nemmeno unicamente un metodo per rilassarsi. Queste sono banalizzazioni che ne abbiamo fatto noi occidentali, al punto che, in alcune multinazionali, si consiglia ai manager di praticare yoga (oppure Zen o Tai Chi) per essere più produttivi! Lo yoga, invece, è un insieme di pratiche fisiche e mentali derivato dall'induismo e poi ereditato da altre fedi nate nel Subcontinente indiano, tipo jainismo, sikhismo e buddismo. Il buddismo, che dà grande importanza alla meditazione, lo ha diffuso anche fuori dall'India, verso la Cina, la Corea, il Sud-Est asiatico e il Giappone

 La parola yoga viene dal sanscrito e in origine voleva dire "giogo" o "aggiogare". Per esempio, c'è un brano nei Rig-Veda, i più antichi testi indù, datati tra XX secolo e il XV secolo a.C., in cui si dice: "aggiogare sé stesso come un cavallo disposto ad obbedire". In testi successivi, le Upanishad, la parola assunse il significato di "unione". Per gli indù, lo scopo dello yoga e, più in generale, di tutta la vita è prendere il controllo del proprio corpo e della propria mente per raggiungere l'unione con il Divino, concepito come il Brahaman, il Sé universale, contrapposto all'Atman, l'io individuale. Tutte i moltissimi dei venerati dagli indù non sono che diverse manifestazioni del Brahaman. Pure il sikhismo, che a differenza dell'induismo è monoteista, considera Dio un'entità impersonale con il quale i singoli esseri vanno a fondersi. I Jaina credono invece che gli umani stessi divengano divini con l'ascesi e l'abnegazione, mentre i buddisti non danno peso alle divinità e cercano il Nirvana, uno stato al di là della gioia e del dolore. In ogni caso, per tutte queste religioni lo yoga serve ad uscire dal Samsara, il ciclo continuo di morti e rinascite per entrare nel Moksha, la liberazione.

In uno dei più importanti libri sacri dell'induismo, la Bahagavad-Gita, il dio Vishnu, assunto l'aspetto umano del cocchiere Krishna, spiega che esistono almeno quattro tipi di yoga:

  • Karma Yoga: la via dell'azione sacralizzata, l'agire disinteressato, compiendo il proprio dovere senza pensare alle conseguenze positive o negative che ciò possa avere. 
  • Jnana Yoga: la via della conoscenza spirituale, il cercare la verità metafisica dell'esistenza dietro le apparenze.
  • Bhakti Yoga: la via della devozione e dell'amore verso una divinità o anche solo verso un maestro spirituale.
  • Dhyana Yoga: generalmente viene intesa come via della "meditazione". In realtà il termine Dhyana in sanscrito si può tradurre anche come "contemplazione", esattamente lo stesso significato del greco Theoria. Si abbatte la divisione tra chi guarda e ciò che viene guardato, come nello Zen.
L'induismo, in aggiunta, riconosce molte altre vie per raggiungere l'unione con il Divino. Addirittura, ci sono stati maestri indù, quali Shri Ramakrishna e Vivekananda, che consideravano ogni religione una via valida. Oggi, forse, le cose sono cambiate con il diffondersi del movimento fondamentalista-nazionalista dell'Hindutva (indianità), il  quale si scaglia ferocemente contro cristiani e musulmani (ma il più famoso monumento dell'India, il Taj Mahal, è stato costruito da un re islamico).

Somiglianze e differenze

La sillaba "Om", usata come Mantra,  è divenuta il simbolo dell'induismo



Immediatamente scopriamo che una differenza tra lo yoga e l'esicasmo è nello scopo. Per un cristiano non ci sono altre vite terrene dopo la morte, ma solo la possibilità di un giudizio di salvezza o condanna. In più, Dio è considerato un essere personale, anzi un essere che si è incarnato in una persona umana, Gesù di Nazareth.

Nonostante ciò, ci sono somiglianze nella pratica: tanto gli yogi che gli esicasti ripetono continuamente una frase che li aiuta a concentrare la loro mente: per i primi è il Mantra, per i secondi la Preghiera di Gesù. Solo che, mentre il Mantra è considerato una frase sacra in sé stessa e, quindi, immodificabile (es. se è in sanscrito non può essere tradotta in altre lingue), la Preghiera di Gesù è sacra per il suo significato e, quindi, può essere abbreviata, allungata o modificata. Anche solo dire "Vieni, Signore" o "Signore, pietà" va bene lo stesso. Non importa neanche che si usi il latino, il greco, l'italiano o qualsiasi altra lingua.

Tuttavia, sia gli yogi, sia gli esicasti cercano di adeguare lo loro respirazione e persino il loro battito cardiaco alla recitazione delle loro invocazioni. Quindi, yoga ed esicasmo hanno in comune l'essere una pratica psico-fisica, ossia che unisce il corpo, la mente e lo spirito. Senza contare che le quattro vie esposte da Krishna nella Bahagavad-Ghita potrebbero essere sottoscritte anche dai praticanti dell'esicasmo.

Io non prendo posizione se sia meglio l'uno o l'altro. Ognuno deve scegliere sulla base della sua personalità e sul percorso che sta seguendo, semplicemente ho voluto fare alcune puntualizzazioni su queste due affascinanti scuole spirituali.

venerdì 9 luglio 2021

Perché Nanak Dev?

Ritratto di Nanak Dev


Dopo Gesù Cristo e il Profeta Muhammad, il terzo maestro a cui mi sento più legato è Nanak Dev (1469-1539). Si tratta del più apofatico dei tre. Nacque nella regione del Punjab, oggi divisa tra India e Pakistan, mentre da noi in Europa iniziava il Rinascimento. 

Il Punjab era allora parte del Sultanato di Delhi retto da sovrani musulmani, ma la convivenza tra indù e islamici era già difficile allora, come lo è oggi. Essendo l'induismo definito come "una polifonia di politeismi" e la religione musulmana come "il più assoluto dei monoteismi" ci troviamo davanti ad un vero scontro di civiltà molto più grande di quello che molti sostengono ci sia tra Islam e Cristianità. In fondo, mentre cristianesimo, ebraismo e zoroastrismo erano riconosciuti dal Corano come rivelati da Dio, della fede indù non si faceva menzione. Nonostante ciò, qualche punto di contatto c'è stato: alcuni dotti islamici, infatti, hanno creduto di riscontrare delle previsioni della venuta di Muhammad nei Veda, i testi sacri indiani (vedi link), inoltre, è esistito Kabir, un poeta mistico che ebbe tra i suoi discepoli sia indù, che lo consideravano un Guru, sia musulmani, che vedevano in lui un Sufi, cioè un mistico dell'Islam.

Tornando a Nanak,  nacque da una famiglia indù, ma suo padre lavorava per il Nawab (o nababbo), un dignitario musulmano locale. Lo stesso Nanak si trovò a fare da contabile-amministratore per questo signorotto. Si dice, però, che il futuro Guru fosse solito donare ai poveri i beni del suo padrone, che ricomparivano poi miracolosamente. A trentotto anni, Nanak riceve una rivelazione divina, mentre medita sulle rive del fiume Vein: "Non esiste né indù, né musulmano". Da quel momento, inizia per l'uomo un percorso spirituale che lo porterà a viaggiare in varie località, accompagnato dall'amico musicista Bhai Mardana: dallo Sri Lanka al Tibet, da Kabul a Baghdad, fino alla Mecca. I due incontrarono buddhisti, jainisti, zoroastriani e forse anche quei cristiani di rito assiro-caldeo che vivono nella regione indiana del Kerala. In ogni caso, Nanak declama inni, accompagnato dalla musica di Bhai Mardana, in cui spiega che esiste un unico Dio, che sta al di là delle religioni e delle loro pratiche di culto. 

Secondo le biografie, il Guru venne rimproverato da alcuni musulmani per dormire con i piedi rivolti verso la Mecca. Nanak replicò loro che potevano girare i suoi piedi verso un luogo in cui Dio non ci sia, se fossero stati in grado di trovarlo. Un'altra volta, vedendo dei Brahmani indù che lanciavano l'acqua del Gange verso il cielo come offerta ai loro antenati, si mise a lanciarla verso la terra. Alle domande di quei sacerdoti su cosa stesse facendo, Nanak spiegò che, se si poteva raggiungere con dell'acqua i propri defunti, lui preferiva donarla ai suoi amati sulla Terra.

Guru Nanak e Bhai Mardan che suona il Rabab


In pratica, Nanak, come Gesù, stava producendo una rottura con la fede istituzionalizzata. Contestò anche con la divisione della società in caste e con i sacrifici di animali, come avevano fatti tanti secoli prima di lui due altri "dissidenti" indiani, Buddha e Mahavira. Tuttavia, mentre questi due insegnavano ai loro discepoli, i buddisti e i jainisti, a distaccarsi dalla vita della gente comune per darsi all'ascetismo, Nanak sembra essere più un "mistico d'azione", simile a Gesù e Muahammad. Si sposa, ha dei figli e, lascia il lavoro da amministratore, per mettersi a coltivare la terra. Ai suoi seguaci, che chiama semplicemente Shish, "discepoli" in sanscrito, termine poi corrottosi in Sikh, dona tre semplici regole:

  • ricordarsi sempre del nome di Dio;
  • lavorare onestamente;
  • condividere con gli altri il frutto del proprio lavoro.
Mentre gli ultimi due comandamenti non hanno bisogno di spiegazioni, vorrei soffermarmi sul primo che mi pare rimandare a quella pratica del mantra, la ripetizione di una frase contenente il nome della divinità o a  cui si attribuisce valore divino. Il mantra diffusissimo nelle religioni orientali (si pensi al famoso Hare Hare Krishna, Hare Hare, Krishna Krishna) è molto simile all'esicasmo cristiano e al dhikr islamico. Anche in essi si ripete un'invocazione contenente il nome di Dio, in modo da mantenere viva nel proprio intimo la presenza divina.
Guru Gobind Singh



Nanak Dev è considerato il primo di una successione di dieci Guru che hanno dato origine alla religione detta sikhismo. In realtà, ne esisterebbe anche un undicesimo, l'Adi Granth, ossia il libro che raccoglie gli insegnamenti di tutti questi maestri e che viene chiamato Guru Granth Sahib (il signor Guru libro) e trattato come fosse una persona con tanto di seggio nei luoghi di culto. 
Qua dobbiamo aprire una questione delicata: fino a che punto il sikhismo è stato fedele all'insegnamento di Nanak Dev? Come Gesù e Confucio, non sembra che il Guru fosse intenzionato a fondare una religione, quanto piuttosto ad indicare un percorso di vita al di là di qualsiasi religione o ideologia. I suoi successori furono di altro avviso. Già, Hargobind, il sesto Guru, portava con sé due spade, raffiguranti una il potere spirituale e l'altra quello politico-militare. Addirittura, il decimo Guru, Gobind Singh riorganizzò completamente sikhismo, imponendo a tutti gli uomini di aggiungere alla fine del nome la parola Singh, leone, e a tutte le donne Kaur, principessa, dando loro fin dall'inizio un ruolo differente, laddove Nanak pensava ad un'uguaglianza tra i sessi. Inoltre, Gobind Singh stabilì che i Sikh non avrebbero dovuto tagliarsi i capelli e la barba, e portare sempre con sé una serie di oggetti, tra cui un pugnale "per difendere i più deboli". L'intento di entrambi questi maestri era quello di differenziarli sia dagli indù che dai musulmani, ma anche quello di dare loro un'organizzazione militare, seppure con scopi prevalentemente difensivi.  In Punjab era ormai scoppiata una lotta tra le varie confessioni.

Un uomo e una donna Sikh


Per questo, oggi i Sikh sono considerati "mistici guerrieri". Si sa dei loro molti conflitti in passato coi musulmani (quando il Punjab venne diviso tra India e Pakistan, si trasferirono in massa nella parte indiana), come pure del tentativo negli anni '80 di creare un loro stato nazionale, il Khalistan, conclusosi con una strage, l'operazione Bluestar, voluta da Indira Gandhi, la quale, per questo, finì poi uccisa proprio da una guardia del corpo Sikh. D'altro canto, la generosità dei Sikh è proverbiale: in ogni loro tempio c'è una mensa ed un dormitorio per i poveri di qualsiasi confessione religiosa.
L'accostamento che mi viene da fare con Gesù e Confucio non è casuale: per molti il cristianesimo sarebbe opera più degli Apostoli, in particolare de San Paolo, che non di Cristo, così come il confucianesimo sarebbe opera più di Mencio che non di Confucio. In più, entrambe queste religioni hanno finito per essere uno strumento ideologico al servizio del potere (o nel caso della Chiesa Cattolica un vero potere alternativo). In ogni caso, non penso che i Sikh, come accennavo riguardo alla loro propensione alla carità, abbiano in tutto rinnegato il pensiero di Nanak Dev, così come non penso i cristiani abbiano rinnegato Gesù e i confuciani Confucio. Semplicemente, come tutti gli uomini, hanno dovuto adattarsi alle diverse circostanze e, sempre come tutti gli uomini, non sono riusciti a non cadere in contraddizione. 
Resta il fatto che anche Nanak Dev è stato il maestro visionario di una fede apofatica, ben al di là di una semplice appartenenza confessionale, che sia l'Islam, l'induismo, il sikhismo o quant'altro.

venerdì 2 luglio 2021

Perché Maometto?

Muhammad e il cavallo miracoloso Buraq



Premessa

Chiariamo subito una cosa: non è in corso nessuno scontro di civiltà tra Occidente e Islam, e nemmeno tra Cristianità e Islam. Caso mai, esiste un conflitto geopolitico che vede schierati da un lato Russia e Cina, dall'altro gli Stati Uniti d'America e i paesi della NATO. I primi hanno come alleati in Medio Oriente l'Iran sciita, ma anche la Siria laica e socialista. I secondi, invece, si appoggiano Israele (paese che applica l'apartheid verso gli arabi sia musulmani, sia cristiani), ma anche alle monarchie sunnite, come l'Arabia Saudita. Quest'ultima è lo Stato che applica la legge coranica nella sua forma più brutale, nonché uno sponsor del terrorismo internazionale. Non è la prima volta che nascono queste alleanze trasversali. Persino durante la battaglia di Lepanto, nella flotta cattolica non c'erano le navi francesi, perché in quella guerra la Francia era alleata dell'Impero Ottomano contro il comune nemico, la Spagna.

Ho voluto spiegare tutto ciò per evitare i pregiudizi "politici" sulla persona del Profeta dell'Islam, Muhammad. Chiamato nelle varie lingue anche Mohamed, Mehmet e Maometto. Dopo il suo nome i fedeli musulmani aggiungono la sigla S.A.W. o S.A.W.S. che significa Sallallahu Alayhi We Sallam (La pace e la benedizione di Allah siano su di lui). 

La vita

La Qa'ba della Mecca


Il Profeta nasce nel VI secolo d.C. in Arabia, rimane orfano di entrambi i genitori e viene cresciuto dalla zio Abu Talib, che gli insegna il mestiere di cammelliere. Muhammad è comunque poverissimo. Sarà solo sposando la ricca vedova Khadija, che troverà la stabilità economica. Khadija sarà il più grande amore di Muhammad, il quale non sposerà altre donne fino alla morte della sua prima moglie. Quando il Profeta, solito ritararsi in meditazione in una grotta sul monte Hira, comincia ad avere esperienze soprannaturali, saranno proprio Khadija e il cugino di questa, Waraqa (forse un cristiano), a convincerlo che esse vengono da Dio e non dai djinn, i geni che tormentano gli uomini secondo la tradizioni araba.

Infatti, Muhammad, all'inizio, è spaventato dai segni che Allah gli invia, come suppongo lo saremmo tutti noi: sentiva voci uscire dalle pietre e gli apparve un essere gigantesco, il quale, poi, si rivelò essere l'arcangelo Gabriele. Muhammad accetta da costui una Rivelazione, il Corano, che si mette a proclamare per le strade della Mecca, suscitando l'odio delle élite politeiste della città. Il Profeta, inoltre, ha un'esperienza mistica sconvolgente: degli angeli lo trasportano fino a Gerusalemme, sulla spianata dove sorgeva il Tempio di Salomone. Da lì, una cavalcatura soprannaturale con il volto di donna, Buraq, lo conduce in cielo per fargli incontrare i Profeti che l'hanno preceduto ed infine Dio in persona.

Nel frattempo, però, i politeisti meccani complottano per uccidere Muhammad. Questi è costretto a fuggire nell'oasi di Yathrib, la futura Medina. Qui, il Profeta, da semplice mistico e predicatore, diviene anche un capo politico. Con una serie di battaglie, riesce a conquistare la Mecca e, dopo aver perdonato coloro che avevano cercato di ucciderlo, fa sgomberare tutti gli idoli dalla Qa'ba, il tempio della città, ad eccezione di una Pietra Nera, che si diceva fosse stata venuta dal cielo e ritrovata da Abramo. Secondo alcune fonti, avrebbe risparmiato anche un'icona raffigurante la Vergine Maria con Gesù Bambino in braccio.

A questo punto, si potrebbe pensare che Muhammad abbia raggiunto il suo scopo, costituire una comunità di fedeli monoteisti in Arabia, ma alla sua morte i suoi seguaci si divisero. Rimasto vedovo di Khadija, il Profeta aveva avuto più mogli e diversi figli da ciascuna, però i maschi non gli erano sopravvissuti, quindi non c'era un erede in linea diretta. Inoltre, Muhammad morì tra le braccia della moglie favorita, Aisha. I suoi seguaci eleggono come suo successore il padre di Aisha, Abu Bakr, che i sunniti ancora oggi considerano il primo califfo. Gli sciiti, invece, ritengono che Aisha abbia avvelenato il Profeta su mandato proprio di Abu Bakr. Per questi ultimi, l'unico erede di Muhammad è suo cugino, l'Imam Alì, che il Profeta aveva cresciuto come un figlio e al quale aveva fatto sposare la figlia Fatima.  Certo, esistono anche altre confessioni islamiche (ibaditi, drusi, alawiti, aleviti, ecc.), ma sciiti e sunniti restano le due più diffuse.

L'esperienza interiore

Il Profeta Muhammad e l'Imam Alì


La fede di Muhammd ruota intorno ad un Dio unico, Allah. Il nome, in arabo, significa letteralmente "il Dio", ma potrebbe derivare dall'aramaico Aloho che, a sua volta, rimanda all'ebraico Elohim, accrescitivo di El, divinità pagana adorata nell'antico Vicino Oriente. Tuttavia, alcuni studiosi sostengono che Allah fosse in origine uno degli dei di un pantheon molto più esteso. Quindi, anche l'Islam, come ebraismo e cristianesimo, nasce come un sincretismo: nel Corano si specifica che ebrei, cristiani, zoroastriani e i misteriosi sabei (forse una setta gnostica) hanno ricevuto tutti una Rivelazione da Allah e, per questo, non devono essere perseguitati, ma solo sottoposti al pagamento di una tassa. Sempre il Corano cita una serie di Profeti precedenti a Muhammad. Fra di essi, ci sono personaggi della tradizione giudeo-cristiana, come Abramo, Mosè, Noè, Giovanni il Battista e Gesù, ma anche altri meno facilmente identificabili, come Idris e Suayb, derivati forse dalla tradizione araba preislamica. Qualcuno ha persino sostenuto che Idris fosse in realtà Ermete Trismegisto, il dio dell'alchimia, ma non è provato. Possiamo dedurre che la visione del sacro di Muhammad fosse molto più inclusiva di quanto non lo sarà per i suoi seguaci nei secoli successivi.

Se continuiamo ad esaminare la fede personale di Muhammad e la confrontiamo con quella di Gesù Cristo, ci accorgiamo che non c'è un'identificazione totale con Dio. Il Profeta dell'Islam non avrebbe mai detto "Io e il Padre siamo una cosa sola", come fa invece Gesù nel Vangelo di Giovanni. Per lui, Allah resta un Dio trascendente ed inconoscibile. Se qualche occidentale, anche recentemente, ha accusato l'Islam di presentare una divinità tirannica e contraddittoria, che può far morire un uomo e poi risuscitarlo secoli dopo senza alcun motivo apparente, si può rispondere che la vita stessa è spesso tirannica e contradditoria. Muhammad ha applicato a Dio quella incomprensibilità che vedeva nella realtà di tutti i giorni, con la differenza che lui non ha mai smesso di credere nella bontà divina. Non a caso, tutte le Sure (i capitoli) del Corano si aprono sempre con la frase "Nel Nome di Allah, il Clemente e il Misericordioso". Uno sforzo di fede e di speranza non certo comune.

In quanto al fatto che Muhammad non si è mai opposto a cose come la guerra e la schiavitù, bisogna rilevare che nemmeno il cristianesimo le ha abolite, però tanto l'Islam che le Chiese cristiane hanno cercato di regolamentare anche queste cose, in modo da arginarne i danni. Se Muhammad uccide gli ebrei medinesi che lo hanno tradito, però risparmia i politeisti meccani, tra cui i Banu Qureysh, il clan nemico al suo, perché questi si sono arresi. Anche i cavalieri europei medievali agivano secondo norme simili. Non sono d'accordo con il teologo Vito Mancuso che relega Muhammad in uno stato inferiore a Gesù, come pure ai profeti dell'Antico Testamento, perché, mentre questi si scontravano con le istituzione, lui le avrebbe costruite. Anzi, per me che cerco una via di mezzo tra Lenin e Tolstoj, mi pare che un legislatore ispirato, come fu Muhammad, possa essere un buon esempio da seguire: non c'è stata nella sua vita una scissione tra l'esperienza interiore e l'attività esteriore, tra il coltivare sé stesso e l'organizzare la società. Un lavoro che non deve essere stato facile, rilevabile anche nelle diversità tra le Sure composte alla Mecca e quelle elaborate a Medina, ma che è necessario fare per ciascuno di noi, se non vogliamo vivere in un mondo incompleto, o tutto spirituale o tutto materiale. 


Christian Universalism - a profession of faith (English version)

All the following sentences are not dogmas or revelated Thruths, but only my personal opinions. God is neither male, nor female, but He/She ...